Il Governo, con il decreto legislativo n. 158/2015, ha integrato la sanzione amministrativa prevista per la violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, novellando il comma 9-bis dell’articolo 6 del Dlgs n. 471/1997e introducendo, nello stesso articolo i commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3. Su questo argomento, riportiamo una sintesi delle modifiche apportate dall’intervento legislativo.
Il comma 9-bis contiene le disposizioni generali in cui trovano collocazione le fattispecie che non sono distintamente disciplinate dai nuovi richiamati commi. In particolare definisce le sanzioni a cui soggiace il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile, prevedendo una sanzione amministrativa compresa fra 500 e 20mila euro.
In coerenza con la ratio ispiratrice della norma, ovvero punire in modo più incisivo i comportamenti più gravi, quest’ultima sanzione è elevata a una misura compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di mille euro, nel caso in cui nella contabilità non risulti tale operazione imponibile.
Il cessionario o committente che
– non informi l’amministrazione finanziaria che il cedente o prestatore non ha adempiuto agli obblighi di fatturazione entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione
– entro lo stesso periodo non abbia regolarizzato l’acquisto
– non ha assolto l’imposta mediante inversione contabile,
è punito dalla stessa sanzione prevista dal comma 9-bis.
È evidente, che nel caso in cui l’omessa inversione contabile comporti anche un’infedele dichiarazione oppure un’indebita detrazione Iva, da parte del cessionario o committente, soggetto passivo d’imposta, risultano applicabili anche le ordinarie sanzioni previste dagli articoli 5, comma 4 e 6, comma 6 del Dlgs n. 471/1997.
Se il cedente o prestatore, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile, erroneamente assolve l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, il cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10mila euro, al cui pagamento è tenuto solidalmente anche il cedente o prestatore.
Ovviamente, il legislatore ha previsto che al cessionario o committente:
– non è potenzialmente preclusa la possibilità di detrarsi l’Iva, nel caso in cui possieda tutti i requisiti previsti dall’articolo 19 e seguenti del Dpr n. 633/1972;
– non è richiesto l’assolvimento dell’imposta.
Invece, quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante il reverse charge è stata determinata da un intento di evasione o di frode, del quale il cessionario o committente era consapevole, lo stesso è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il 90 e il 180% dell’imposta non correttamente registrata.
Se il cedente o prestatore, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile, erroneamente la applica, lo stesso è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10mila euro, al cui pagamento è tenuto solidalmente anche il cessionario o committente.
Ovviamente il legislatore ha previsto che:
– al cessionario o committente non è potenzialmente preclusa la possibilità di detrarsi l’Iva, nel caso in cui possieda tutti i requisiti previsti dall’articolo 19 e seguenti del Dpr n. 633/1972;
– non è richiesto l’assolvimento dell’imposta da parte del cedente o prestatore.
Invece, quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante il reverse charge è stata determinata da un intento di evasione o di frode, del quale il cessionario o committente era consapevole, lo stesso è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il 90 e il 180% dell’imposta non correttamente registrata.
L’applicazione del reverse charge per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta è disciplinato dal comma 9-bis.3, il quale prevede; “in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta”.
La norma continua, sancendo che: “la disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro”.
Risulta importante sottolineare che:
– il comma 9-bis.3 non fa nessuna distinzione sul tipo di inesistenza, ovvero se è applicabile sia alle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti sia alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
-i nuovi commi introdotti dal Governo con il decreto legislativo n. 158/2015 prevedono:la detraibilità dell’Iva solamente se sono posseduti tutti i requisiti previsti dall’articolo 19 e seguenti del Dpr n. 633/1972; sempre una sanzione amministrativa “più grave”, se l’errore è stato determinato da un intento di evasione o di frode.
L’amministrazione finanziaria, con la circolare 16/2016, più precisamente nel paragrafo “5. Errata applicazione del sistema dell’inversione contabile ad operazioni esenti, non imponibili, non soggette ad imposta o inesistenti (art. 6, comma 9-bis.3)” ha fornito spiegazioni anche in relazione alle fatture per operazioni inesistenti emesse in reverse charge.
In particolare, è stato chiarito che la disciplina prevista dal comma 9-bis.3 ha più un carattere procedurale che sanzionatorio, infatti, per l’ipotesi di errata applicazione del meccanismo dell’inversione contabile a operazioni esenti, non imponibili o non soggette a imposta, l’ufficio accertatore, nelle liquidazioni periodiche del committente, deve elidere sia il debito erroneamente computato sia la conseguente detrazione operata, prevedendo altresì la possibilità di recuperare l’imposta eventualmente non detratta dal committente.
Nella circolare viene sottolineato che il legislatore, con il Dlgs n. 158/2015, ha modificato l’intero impianto sanzionatorio amministrativo delle operazioni inesistenti nell’ambito dell’inversione contabile, tuttavia tenendo invariato l’impianto sanzionatorio penale.
Per raggiungere questo obiettivo, il Governo ha:
– modificato l’articolo 21, comma 7, del Dpr n. 633/1972, limitandone la portata al regime ordinario;
– introdotto una procedura dedicata a delineare il trattamento della violazione anche da un punto di vista sanzionatorio, di cui al comma 9-bis.3 dell’articolo 6, del Dlgs. n. 471/1997.
Come per le operazioni esenti, non imponibili o escluse, in sede di accertamento, alle fatture in inversione contabile riferite a operazioni inesistenti, deve essere espunto sia il debito sia il credito computato nelle liquidazioni dell’imposta specifica, ma deve essere irrogata una sanzione, nel solo caso di operazioni inesistenti, in una misura compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di mille euro.
L’amministrazione finanziaria ha chiarito che, nel caso di fatture soggettivamente inesistenti in inversione contabile, il cessionario o committente deve regolarizzare l’acquisto, ai sensi di quanto disposto dal comma 9-bis, quarto periodo, con i relativi limiti di detraibilità, mentre nel caso in cui non lo facesse (nella quasi totalità dei casi) lo stesso è punito dalla sanzione amministrativa:
– per dichiarazione infedele, relativamente alla maggior imposta dovuta;
– per illegittima detrazione d’imposta,
oltre alla sanzione dal 5 al 10% dell’imponibile indicato nella fattura soggettivamente inesistente.
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