In tema di esportazioni al di fuori del territorio dell’Ue, ai fini della fruizione del regime di non imponibilità, la destinazione dei beni all’esportazione non può essere provata dal contribuente allegando documentazione di origine privata, in quanto la normativa doganale richiede a tal fine mezzi di prova certi e incontrovertibili, quali le attestazioni di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, o la vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura, o anche le bolle di accompagnamento, i documenti internazionali di trasporto e gli altri documenti previsti dall’amministrazione finanziaria, purché risulti la vidimazione dell’ufficio doganale ovvero la prova delle autorità pubbliche dello Stato estero importatore, comprovanti l’uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione. Lo ha precisato la Cassazione nella sentenza n. 11112 del 6 aprile 2022.
Fatti di causa
Nel corso di una verifica, al fine di riscontrare le modalità di documentazione dei trasporti relativi a beni esportati, rispetto ai quali la società aveva emesso fatture con corrispettivo “non imponibile ex art. 9 DPR 633/1972”, è stato chiesto alla contribuente di fornire la prova (bolle doganali) che i beni fossero effettivamente usciti dal territorio dell’Ue. Ciò in quanto, dall’esame dei documenti fiscali (fatture attive) relativi all’anno d’imposta 2003, era emerso che sugli stessi non era stata riportata alcuna dichiarazione, né tantomeno erano stati rilevati gli estremi della bolla doganale attestante l’avvenuta esportazione del bene trasportato. L’ufficio, recependo il pvc, ha recuperato, tra l’altro, l’Iva indicata nelle fatture relative ai trasporti di beni (gas liquefatti) in esportazione e, in mancanza di prova che i beni avessero varcato i confini del territorio dell’Unione europea, ha ritenuto che tali prestazioni di servizio dovessero essere assoggettate a imposta ex articolo 21, Dpr n. 633/1972.
Nei gradi di merito, la Commissione provinciale ha accolto il ricorso e la regionale, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato l’appello dell’Agenzia. A sostegno della decisione, la Ctr ha ritenuto che “la contestazione riguardante il mancato accertamento dell’uscita materiale dei beni dallo Stato… è da ritenersi infondata…, tenuto conto, fra l’altro, di tutti i controlli effettuati su tale tipologia di trasporto”.
L’Agenzia ha proposto ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge poiché il giudice d’appello aveva trascurato che la società non ha provato la condizione necessaria per l’applicazione del regime di non imponibilità delle esportazioni, non avendo dimostrato l’uscita dei beni dal territorio dell’Unione.
La Corte ha ritenuto fondato il motivo e ha affermato che “il legislatore nazionale ha… esercitato la facoltà conferita dall’art. 131 della direttiva Iva, stabilendo con chiarezza, secondo il principio di certezza, le condizioni per ritenere soddisfacente la prova del rispetto del requisito sostanziale dell’esportazione, e all’uopo contemplando, in base al principio di proporzionalità, un ventaglio di documenti”.
Osservazioni
Ai fini della non imponibilità dei servizi di trasporto della merce fuori dal territorio Ue, i giudici di piazza Cavour hanno ribadito la necessità che la contribuente, che invoca il regime di favore, fornisca la prova dei relativi presupposti e, nelle specie, delle avvenute esportazioni.
Il contenuto di tale prova assume rilevanza in relazione al principio di tassazione delle prestazioni di trasporto presso il luogo di destinazione.
Al riguardo la Cassazione ha richiamato l’articolo 146 della direttiva Iva secondo il quale “Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: a) le cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o per suo conto, fuori della Comunità; (…); e) le prestazioni di servizi, compresi i trasporti e le operazioni accessorie, eccettuate le prestazioni di servizi esenti … qualora siano direttamente connesse alle esportazioni o importazioni di beni che beneficiano delle disposizioni previste all’articolo 61 e all’articolo 157, paragrafo 1, lettera a)”. Tanto la previsione dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera e), relativa alla fattispecie in esame concernente i servizi di trasporto, quanto la disposizione dell’articolo146, paragrafo 1, lettera a), perseguono la finalità di garantire la tassazione delle specifiche prestazioni di servizi indicate presso il luogo in cui i prodotti esportati saranno consumati (CG, C-288/16 e C-653/18).
La Cassazione ha sottolineato l’esistenza di un nesso diretto tra le prestazioni di trasporto e l’esportazione di beni, e cioè la cessione di beni, spediti o trasportati dal venditore o per suo conto, fuori dell’Unione. Benché la prestazione di trasporto debba essere distinta dall’operazione di esportazione vera e propria, che costituisce altra operazione imponibile soggetta a un regime doganale e fiscale specifico e che può coinvolgere altri debitori, intanto si può applicare il regime di non imponibilità, in quanto accessoria all’operazione di esportazione di beni, che completa, e alla cui realizzazione effettiva contribuisce. Il regime di non imponibilità, cioè, opera solo in presenza di una prestazione di servizi effettuata al di fuori dell’Ue, dimostrata in un modo reputato soddisfacente dalle autorità tributarie competenti (CG, C-495/17).
Con riferimento alla tipologia di prova che il contribuente deve fornire per beneficiare del regime di non imponibilità in caso di contestazione con l’amministrazione finanziaria, tuttavia, nelle direttive Iva, manca una disposizione specifica. Ciò in quanto, interpretando gli articoli 131, direttiva Iva, e 15, VI direttiva, la Corte di giustizia ha chiarito che “spetta agli Stati membri fissare, fatte salve le altre disposizioni unionali, le condizioni per assicurare la corretta e semplice applicazione di questo regime e per prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso, nel rispetto, in particolare, dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità…” (CG, C-492/13 e C-307/16). Ma non senza limiti.
Nei casi in cui non si abbia motivo di dubitare che i beni siano stati effettivamente esportati (CG, C-275/18) e che l’uscita effettiva di tali beni dal territorio dell’Unione sia attestata, per ciascuna delle cessioni, da un visto apposto dall’autorità doganale di uscita su un modulo in possesso del soggetto passivo (CG, C-656/19), non possono essere imposti obblighi documentali di natura formale. Non è idonea a incidere sull’operatività del regime di non imponibilità, quindi, l’inosservanza di obblighi quali la dichiarazione di vincolo al regime doganale dell’esportazione (CG, C-275/18) o, più in generale, l’espletamento delle formalità doganali (CG, C-656/19).
Il legislatore nazionale ha esercitato la facoltà conferita dall’articolo 131, direttiva Iva, stabilendo con chiarezza, secondo il principio di certezza, le condizioni per ritenere soddisfacente la prova del rispetto del requisito sostanziale dell’esportazione e contemplando, in base al principio di proporzionalità, un ventaglio di documenti.
L’articolo 8, comma 1, lettera a), del decreto Iva, infatti, prevede che la destinazione della merce all’esportazione debba essere provata dalla documentazione doganale, ossia dalla vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura o su un esemplare della bolla di accompagnamento o anche, se quest’ultima non è prescritta, del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali per le spedizioni postali.
Da un lato, quindi, mediante il richiamo alla documentazione doganale, l’articolo 8 citato ha rinviato alla disciplina delle leggi doganali e, dunque, agli atti pubblici attestanti l’esportazione formati dagli uffici doganali, dall’altro lato, in funzione delle esigenze di semplificazione burocratica e di speditezza dei traffici commerciali, rispondenti al principio di proporzionalità, lo stesso articolo 8 ha individuato anche altri documenti commerciali (fattura, bolla di accompagnamento o altro documento di trasporto), formati dagli stessi operatori privati, purché recanti la “vidimazione dell’ufficio doganale”.
Così delineata la cornice probatoria generale, la Corte ha ricordato che, in mancanza di attestazione della dogana di partenza, non potendosi addebitare all’esportatore l’omessa esibizione di un documento di cui egli non ha la disponibilità, la prova dell’esportazione può essere fornita con ogni mezzo che abbia il requisito della certezza e incontrovertibilità, quale l’attestazione di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, poiché “il regime probatorio dell’esportazione deve essere ricavato dalla disciplina doganale, e precisamente dall’art. 346 TULD il quale consente di dare la prova dell’esportazione anche per mezzo di documentazione rilasciata da pubblica amministrazione o da dogana estera” (Cassazione, n. 25454/2018). E ancora, la prova dell’uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione può essere rappresentata dalla vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura (Cassazione, n. 16971/2016), o anche dalle bolle di accompagnamento, dai documenti internazionali di trasporto e dagli altri documenti previsti dall’amministrazione finanziaria, che possono provenire anche dalle autorità pubbliche dello Stato estero importatore (Cassazione, n. 19750/2013).
Infine, nel richiamare la propria giurisprudenza, la Cassazione ha concluso che non possono assumere valore probatorio, in sostituzione della documentazione ufficiale mancante, i documenti di origine privata allegati dal contribuente, quali le fatture o la documentazione bancaria attestante il pagamento (Cassazione, nn. 21809/2012, 19750/2013, 20487/2013, 3193/2015 e 25501/2019).
fonte fiscooggi.it