L’uso degli stessi locali e i conti bancari cointestati provano l’esistenza di una società di fatto tra professionisti. Lo svolgimento di un’attività imprenditoriale consociativa, infatti, può essere desunta dall’amministrazione finanziaria anche attraverso il ricorso a indici presuntivi. Lo ha chiarito la Cassazione che, con l’ordinanza 24881 del 15 settembre 2021, ha respinto il ricorso di due professionisti.
La Ctc del Lazio aveva rigettato le impugnazioni dei contribuenti contro l’avviso di accertamento emesso nei loro confronti dall’Agenzia delle entrate, che aveva ritenuto sussistere una società di fatto tra gli stessi. In particolare, la commissione tributaria evidenziava che l’esistenza della società di fatto tra i contribuenti emergeva, non solo dalla esteriorizzazione del vincolo sociale, ma anche dall’attività in comune svolta dai contribuenti diretta alla costituzione di varie società di servizi, dall’uso degli stessi locali, nonché dall’esistenza di un fondo comune manifestata dalla contitolarità di tre conti correnti bancari.
La decisione è stata quindi impugnata in Cassazione dove i contribuenti hanno sostenuto che l’ufficio aveva valorizzato l’esistenza dei conti cointestati pur non essendoci prova dell’organizzazione d’impresa e dell’attività realizzata. In pratica non sarebbe stata sufficiente la mera apparenza esterna per dimostrare l’esistenza di una società di fatto.
La suprema Corte, nel rigettate il ricorso, ha ricordato che in materia tributaria i criteri di identificazione della società di fatto sono diversi da quelli che assumono rilevanza nei rapporti contrattuali di diritto privato, giacché in questi ultimi l’esigenza è quella di tutelare l’affidamento senza colpa dei terzi.
In materia ?scale, invece, l’esigenza è quella di verificare l’esistenza dei presupposti per applicare norme impositive per cui è necessario accertare l’effettiva esistenza degli elementi costitutivi del vincolo sociale, non essendo sufficiente la mera apparenza di tale vincolo sia pure accompagnata dal ragionevole convincimento della sua esistenza (cfr. Cassazione n. 27775/2005).
Tuttavia, per mitigare l’onere probatorio, si è precisato che la prova della sussistenza della società di fatto, seppure non desumibile dalla mera esteriorizzazione nei confronti dei terzi, può essere dedotta anche dalla presenza di indici presuntivi che rivelino l’esistenza di una struttura sovra individuale indiscutibilmente consociativa (cfr. Cassazione n. 12500/2016).
In altre parole, l’esistenza di un’attività imprenditoriale societaria richiede sia il requisito dell’apparenza del vincolo sociale nei confronti dei terzi, sia l’effettiva esistenza degli elementi costitutivi di tale vincolo che l’amministrazione può provare anche in via presuntiva. E fra gli elementi richiesti dall’articolo 2247 cc affinché si configuri una società di fatto c’è il conferimento dei beni e servizi necessari a svolgere l’attività a scopo di lucro (cfr. Cassazione nn. 27088/2008 e 7374/2020).
Nel caso di specie il giudice di merito non solo ha evidenziato l’esistenza di una società di fatto che si manifestava come tale dinanzi ai terzi, ma ha anche accertato la sussistenza dei requisiti specifici della società di fatto (conferimento di beni, fondo comune, divisione degli utili e delle perdite, affectio societatis), desumendoli da tre elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti, quali la gestione di varie società di servizi, i conti cointestati e l’uso dei medesimi locali per lo svolgimento dell’attività.
Una volta che l’Agenzia delle entrato rilevi la sussistenza di una società di fatto, procede al recupero in capo alla stessa dell’Irap e dell’Iva evase.
Ai fini delle imposte sui redditi, in linea generale la società di fatto è trattata come una società di persone, per cui il reddito accertato in capo alla stessa viene imputato per trasparenza ai soci, i quali sono destinatari di autonomi avvisi di accertamento per il recupero dell’Irpef evasa.
In caso di impugnazione, tuttavia, deve essere osservato il principio del litisconsorzio necessario tra le parti interessate, per cui il giudizio contro l’ufficio deve essere instaurato anche nei confronti degli altri soci di fatto.
La prova della sussistenza di una società di fatto può essere fornita dall’ufficio con ogni mezzo, anche mediante presunzioni semplici. Il giudice deve valutare l’esteriorizzazione del vincolo sociale, cioè se i comportamenti posti in essere creino il ragionevole affidamento nei terzi dell’esistenza di una società.
In particolare, in tema di imposte sui redditi, ai fini dell’individuazione del soggetto effettivo titolare del reddito prodotto da una specifica attività economica, l’esistenza di una società di fatto può ben essere desunta da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovra individuale indiscutibilmente consociativa, assunte non per una loro autonoma valenza, ma quali elementi apparenti e rivelatori, sulla base di una prova logica, dei fattori essenziali di un rapporto di società nella gestione dell’azienda, in quanto ciò che viene in considerazione non sono gli elementi essenziali del contratto di società (costituzione di un fondo comune ed “affectio societatis”), rilevanti esclusivamente nei rapporti interni, ma l’esteriorizzazione del vincolo sociale, rilevante nei rapporti esterni.
Infine l’indagine circa l’esistenza di una società non formalizzata, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia sorretta da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici: la mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l’accertamento “aliunde”, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l'”affectio societatis”, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi.
Tali accertamenti, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimità, se sorretti da motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici (cfr. Cassazione nn. 896/2020 e 8981/2016).
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
Comments are closed.