Non è detraibile l’Iva relativa alle spese di ristrutturazione completa e radicale di un immobile, condotto in locazione da un architetto e adibito a studio professionale, qualora si tratti di spese straordinarie non consistite “in un semplice adattamento dei locali alle esigenze connesse all’attività professionale del locatario”, risultate prive del requisito di pertinenza della spesa allo svolgimento della libera professione del contribuente e finalizzate ad aggirare l’obbligo di pagamento dell’Iva da parte della “proprietaria-locatrice”, consentendone la detrazione al marito. Lo ha chiarito la Cassazione nell’ordinanza n. 14853 dell’11 maggio 2022.
I fatti
Con avviso d’accertamento relativo all’anno d’imposta 2007 ed emesso nei confronti di un contribuente, esercente la professione di architetto, l’Agenzia delle entrate ha recuperato l’Iva ritenuta non detraibile (21.470 euro) per le spese di ristrutturazione dello studio condotto in locazione, trattandosi di spese straordinarie di competenza del “locatore – proprietario”, e ritenendo che l’operazione economica fosse connotata da finalità di elusione dell’imposta. Altalenante l’esito del giudizio nei gradi di merito: la Commissione provinciale, infatti, ha accolto il ricorso del contribuente, osservando che il contratto di locazione prevedeva espressamente che le opere necessarie per la ristrutturazione dell’immobile fossero poste a carico del locatario; i giudici d’appello, invece, hanno ritenuto fondata la prospettazione erariale.
In particolare, la Commissione regionale ha accertato che la singolare operazione economica, posta in essere dal contribuente (in virtù della quale una spesa straordinaria di radicale ristrutturazione dell’immobile di competenza del “proprietario – locatore” dell’immobile veniva sostenuta dal “locatario – libero professionista”), è stata contestata dall’Agenzia ad ampio spettro e che l’antieconomicità non ha rappresentato il profilo assorbente della contestazione. Da una parte, la Ctp non aveva considerato:
a) che la locatrice era la moglie del ricorrente e che, in caso di esecuzione diretta dei lavori di ristrutturazione dell’immobile di proprietà, non avrebbe potuto detrarre l’imposta in quanto priva di partita Iva
b) che i lavori di ristrutturazione dell’unità immobiliare avevano comportato una spesa di ben 138.797 euro, pari a circa il doppio del reddito imponibile dichiarato dal professionista.
Dall’altra, la stessa Ctp, non aveva valutato che la portata esorbitante dell’esborso, effettuato in funzione della ristrutturazione complessiva del bene e del suo cambio d’uso, fosse indicativa della non inerenza della spesa, né che l’obbligazione contrattuale assunta dal contribuente fosse manifestamente antieconomica, posto che, a fronte dell’obbligo di corresponsione di un canone di locazione quantificato in 4.800 euro annui (eventualmente aggiornato in base al 75% della variazione dei prezzi Istat), il contribuente si era assunto l’impegno di svolgere, a proprie spese, lavori di ristrutturazione integrale dell’immobile, che hanno comportato il pagamento anticipato della somma di Euro 138.797, equivalente, tra l’altro, all’ammontare dei canoni complessivi dovuti per circa 30 anni di locazione dell’immobile.
Il contribuente ha impugnato la sentenza in Cassazione, lamentando, tra l’altro:
a) violazione di legge (articoli 56, Dlgs n. 546/1992, 112 e 346 cpc, nonché dell’articolo 19, comma 1, Dpr n. 633/1972), poiché, a suo parere, la Ctr aveva erroneamente ritenuto che la detrazione dell’Iva sarebbe stata possibile solo in relazione al “mero preadattamento dei locali all’attività professionale del conduttore”, non anche qualora eccedente rispetto a tale adattamento, tra l’altro riprendendo la questione dell’inerenza delle spese che non era stata reiterata, né coltivata in secondo grado dall’Agenzia
b) motivazione inesistente (ex articoli 101 e 132, n. 4, cpc, e 118, comma 1, disposizioni attuative cpc) e difetto di motivazione (ex articolo 36, Dlgs n. 546/1992), con riferimento alla mancanza di valide ragioni economiche e all’antieconomicità dell’onere della ristrutturazione straordinaria dell’immobile.
La Corte ha rigettato il ricorso, rilevando che non sussisteva alcuna “violazione dell’art. 56 D.Lgs. n. 546 del 1992 per mancata riproposizione di eccezioni, né del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, né, infine, dell’art. 346 c.p.c. in punto di decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte. La questione affrontata dal giudice d’appello non è, infatti, differente da quella dedotta dapprincipio dall’Agenzia”.
Osservazioni
I giudici di legittimità sono stati chiamati a valutare il requisito dell’inerenza, ai fini della detraibilità dell’Iva, in relazione all’esborso effettuato dal contribuente per spese di ristrutturazione sull’immobile da lui condotto in locazione e di proprietà della moglie.
Al riguardo la Cassazione, dopo aver chiarito che, in materia di Iva, “l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa…” (cfr Cassazione, n. 19804/2018), aderendo all’orientamento di giurisprudenza unionale, ha affermato che, nonostante in campo Iva il giudizio di congruità non escluda il diritto alla detrazione, “lo condiziona qualora l’antieconomicità dell’operazione sia manifesta e macroscopica e dunque esulante dal normale margine di errore di valutazione economica”, tanto “da assumere rilievo indiziarlo di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva” (Corte di giustizia Ue, C-412/03, C-621/10, C-129/11, C-285/10, C-263/15 e Cassazione, n. 2875/2017). I giudici di legittimità, inoltre, hanno precisato che spetta al contribuente provare che la prestazione sia reale e inerente all’attività svolta (cfr Cassazione, n. 2240/2018).
Nel caso in esame, il contribuente non aveva giustificato l’ammontare delle somme pagate per la ristrutturazione, che risultava in contrasto con il canone di economicità, essendo privo di obbiettiva giustificazione in rapporto all’entità elevata dei costi sostenuti. Al riguardo, la Ctr si è curata di accertare la non inerenza dei beni rispetto all’attività professionale svolta, valorizzando la descrizione delle opere contenuta nel capitolato allegato al contratto di locazione ed evidenziando come le stesse non siano consistite “in un semplice adattamento dei locali alle esigenze connesse alla attività̀ professionale del locatario”, sostanziandosi piuttosto in una “ristrutturazione completa e radicale dell’immobile, comprensiva dei lavori di rimozione e rifacimento del manto di copertura dell’edificio, smantellamento e rimozione degli impianti tecnologici, demolizione e rimozione della pavimentazione interna ed esterna, delle vasche di raccolta e trattamento dei liquami e delle connesse tubazioni”. La circostanza che le opere “all’evidenza esorbitavano dal mero adattamento” ha consentito alla Ctr di ritenere che era venuto meno il requisito della pertinenza della spesa allo svolgimento della libera professione del contribuente.
Né ha avuto sorte migliore il lamentato difetto di motivazione. Con riferimento al contenuto della sentenza, infatti, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso e ha chiarito che tale vizio, previsto dagli articoli 132, comma 2, n. 4, cpc e. 111 della Costituzione, non inficiava la sentenza impugnata, vista l’attenta ricostruzione effettuata dalla Ctr e in mancanza di un’obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. Neppure il vizio lamentato può ritenersi sussistente alla luce della riformulazione dell’articolo 360, comma 1, n. 5, cpc, disposta dall’articolo 54 del Dl n. 83/2012.
La trama argomentativa della sentenza d’appello, infatti, ben lascia cogliere le rationes decidendi che ne costituiscono il sostrato. Di conseguenza, la motivazione della pronuncia non dà luogo alla nullità̀ processuale deducibile in sede di legittimità (ex articolo 360, comma 1, n. 4, cpc), non essendo totalmente mancante o meramente apparente, né risultando del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa e obiettivamente incomprensibile).
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