In tema di appalto di servizi quando il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente il giudice del merito può accertare la nullità del contratto di appalto, con conseguente indetraibilità dell’Iva e indeducibilità dell’Irap. È questo il principio di diritto affermato dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna con la recente sentenza n. 254/1/21, depositata il 26 novembre 2021.
L’attività di controllo traeva origine da una verifica della Guardia di finanza nei confronti di una società che aveva registrato costi per servizi (di facchinaggio), resi in esecuzione di un contratto di appalto di servizi, da una cooperativa che, nel corso di una precedente verifica, era risultata priva dell’attrezzatura necessaria per svolgere i servizi oggetto del contratto. Era stato altresì accertato che il personale della cooperativa operava nei locali della società committente sotto la direzione di quest’ultima, che ne organizzava il lavoro, fornendo anche l’attrezzatura necessaria per il servizio di facchinaggio.
La direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate di Ravenna, pertanto, negava la detraibilità dell’Iva e dell’Irap in capo alla committente, stante la non genuinità dell’appalto.
La società presentava ricorso, sostenendo che nei contratti di appalto cosiddetto “labour intensive” l’organizzazione del lavoro può essere anche svincolata dalla proprietà dei mezzi materiali e, in secondo luogo, come la rilevazione delle presenze dei dipendenti da parte della committente fosse finalizzata solo a un confronto delle ore di lavoro dichiarate dal personale all’appaltatrice.
Il giudice ravennate evidenziava in primo luogo i vantaggi fiscali derivanti dall’utilizzo di un contratto di appalto di servizi per “mascherare” una somministrazione di manodopera: la possibilità di detrarre l’Iva e di dedurre l’Irap in relazione alle prestazioni fatturate dall’appaltatore.
Nel merito la Commissione osservava anzitutto che l’appaltatrice non disponeva dei mezzi materiali per l’esecuzione dell’appalto e che le attrezzature erano fornite dalla committente.
Inoltre la stessa committente organizzava l’attività da svolgere (in particolare i turni) e il responsabile dell’appalto presso la committente svolgeva, in realtà, le funzioni di carrellista presso altra ditta.
Risultava altresì provato che i lavoratori svolgevano – su richiesta della committente – anche attività diverse da quelle di facchinaggio, occupandosi, ad esempio, anche di mansioni produttive.
Ulteriore elemento valorizzato dalla Commissione era la mancanza, presso il committente, di un referente dell’appalto, con il compito di sovraintendere e dirigere i lavori (cfr Cassazione n. 12551/2020).
A fronte di questi fatti risultava che l’appalto era fittizio e “copriva un reale rapporto di somministrazione illecita di manodopera”.
Ad avviso della Corte territoriale il reale discrimine tra i due istituti andava dunque rinvenuto nell’etero-direzione, intesa quale organizzazione e direzione delle maestranze, in prima persona, da parte dell’appaltatore (cfr Cassazione n. 938/2018, che richiama, sul punto, l’articolo 29 del Dlgs n. 276/03 e Cassazione n. 18808/2017).
Inoltre, pur volendo ritenere che l’appalto avesse le caratteristiche di contratto “labour intensive”, nel caso in esame l’apporto del committente non si sostanziava in beni immateriali, quali know-how, software o altre forme particolarmente evolute di supporti (cfr Cassazione n. 14371/2020), ma comportava una sostanziale direzione del personale dell’appaltatrice.
Per questi motivi la Ctp rigettava il ricorso di parte, accertando la nullità del contratto di appalto di servizi, con conseguente indetraibilità dell’Iva e dell’Irap in relazione agli importi fatturati dall’appaltatrice.
La sentenza in commento si pone nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione nn. 12808/20, 12551/20 e 31720/18) che ha individuato nel potere di direzione e di organizzazione il discrimen tra appalto di servizi e mera somministrazione di manodopera. “L’eterodirezione si ha quando l’appaltante-interponente, non solo organizza, ma anche “dirige” i dipendenti dell’appaltatore, utilizzandoli in prima persona. Si ha eterodirezione quanto restano in capo all’appaltatore solo i compiti di gestione amministrativa, quali la retribuzione, la pianificazione delle ferie, senza una reale organizzazione della prestazione, volta ad un risultato produttivo autonomo (Cass. 28 marzo 2013, n. 7820), mentre l’interponente-committente non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti, utilizzandoli in prima persona (Corte Giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/12, Amatori, con riferimento al trasferimento di azienda o di ramo di azienda). Alla interposta, quindi, in presenza di eterodirezione, restano solo compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa. Il rischio di impresa resta, comunque, un requisito essenziale dell’appalto “genuino” (Cass., 28953/2018)” (cfr Cassazione n. 34727/19).
Anche la Sezione lavoro, con sentenza n. 31127/2021, depositata lo scorso 2 novembre, ha ribadito l’assunto, precisando che “l’appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza che l’appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la “confezione del prodotto”, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell’appaltatore (Cass. 10 giugno 2019, n. 15557) ed è ravvisabile, di contro, una interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente (Cass. 25 giugno 2020, n. 12551)”.
La stessa Sezione, peraltro, ha precisato che “il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro previsto dall’art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (…) opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 6343 del 2013)” (cfr Cassazione Sezione lavoro, n. 29889/19).
Va infine sottolineato il potere-dovere del giudice di merito di accertare la nullità del contratto di appalto, su istanza di chiunque vi abbia interesse (dunque anche del Fisco) e anche d’ufficio, secondo le ordinarie regole civilistiche (articolo 1421 cc). In particolare, la Corte di cassazione con la sentenza n. 34727/19, ha affermato che “In caso di “appalto non genuino”, quindi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3 bis, si consente ai lavoratori di chiedere, in via giudiziale, ai sensi dell’art. 414 c.p.c., la “costituzione” di un rapporto di lavoro alle dipendenze del datore di lavoro “effettivo”, ossia dell’interponente. Non vi è più, quindi, l’assunzione ex lege del lavoratore presso il datore di lavoro effettivo ai sensi della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5. La previsione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3 bis, comporta, comunque, la “nullità” del contratto stipulato tra committente ed appaltatore, con conseguente nullità anche del contratto tra lavoratore e somministratore, incidendo, in tal modo, anche ai fini dell’Iva e dell’Irap (Cass., 28 luglio 2017, n. 18808; Cass., 17 gennaio 2018, n. 938; Cass., 27 luglio 2018, n. 19966; Cass., 12 novembre 2018, n. 28953; di recente Cass., 7 dicembre 2018, n. 31720). Diviene, quindi, irrilevante la richiesta del lavoratore, ai sensi dell’art. 414 c.p.c., di “costituire” il rapporto di lavoro alle dipendenze del committente-interponente, ossia del datore di lavoro “effettivo”, quello dunque che ha beneficiato della prestazione. (…) questa Corte, la quale ha ritenuto che il ricorso del lavoratore, ai sensi dell’art. 414 c.p.c., teso a costituire il rapporto di lavoro con l’impresa interponente, “mira a ottenere la conversione nel contratto di lavoro con chi si è giovato delle sue prestazioni”. Tale “conversione” “postula la nullità dei contratti” che ne sono oggetto, ed in particolare quello tra interponente ed interposto, che può essere fatta valere da chi ne abbia interesse, quindi, anche dal fisco, nonché rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 1421 c.c. (Cass., 7 dicembre 2018, n. 31720), con nullità “derivata” anche per il contratto tra lavoratore e somministratore (Cass., 12 novembre 2018, n. 28953; Cass., 18808/2017) (…) Non è configurabile, allora, stante la nullità dei contratti, un rapporto di appalto tra la committente e l’interposta, con impossibilità di detrarre l’Iva da parte della società contribuente. Il diritto di detrazione scaturisce, invece, dalla effettiva realizzazione della prestazione di servizi; sicché mancando tale effettiva prestazione, non sorge il diritto alla detrazione (Corte giust. 27 giugno 2018, cause C-459-460/17, SGI e Valeriane snc, punto 35)”.
Nello stesso senso si vedano altresì le recenti sentenze Ctp Ravenna nn. 228/01/21, 102/01/21, 50/01/21 e Ctr Emilia Romagna n. 1066/10/2020, citata nella pronuncia della Ctp in commento.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
Comments are closed.