Con la sentenza n. 28384 del 15 ottobre 2021 la Corte di cassazione ha stabilito che l’esenzione dall’Iva prevista dall’articolo 10, comma 1, n. 19) del Dpr n. 633/1972 per le “prestazioni di cura rese da stabilimenti termali” non comporta una deroga automatica all’ordinario regime di imponibilità in favore delle prestazioni termali, dovendosi invece tenere presente che il concetto di “cura” implica necessariamente che queste ultime debbano avere una funzione terapeutica di diagnosi, cura e guarigione, da valutare in relazione alle “condizioni del destinatario della relativa prestazione”.
Come è evidente dal tenore letterale della norma – secondo cui “Sono esenti dall’imposta: 19) […] le prestazioni di cura rese da stabilimenti termali” – l’esenzione dall’Iva prevista dall’articolo 10, comma 1, n. 19) del Dpr 633/1972 opera a condizione che sussistano due condizioni, una soggettiva e una oggettiva: ovvero che la prestazione sia resa da uno stabilimento termale e che l’oggetto della prestazione sia quello di cura.
In relazione al requisito soggettivo, invero non oggetto di contesa tra le parti del processo, la suprema Corte si è limitata a evidenziare l’irrilevanza della “circostanza che la prestazione sia di fatto resa da un sanitario o da altro operatore nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza” – come invece richiesto per l’applicazione dell’esenzione prevista dal precedente n. 18) (vedi articoli “Odontoiatra senza iscrizione all’albo, l’esenzione Iva è preclusa” e “Esenzione Iva solo per chiropratico con una formazione adeguata”) – in quanto, ai fini della realizzazione della condizione soggettiva di cui al n. 19), “il ruolo dell’operatore sanitario è assorbito dalla struttura collettiva dello stabilimento termale”.
Ciò che è stato oggetto di controversia tra amministrazione finanziaria e contribuente è invece la portata del requisito oggettivo, ovvero la corretta individuazione del concetto di “prestazione di cura”, in relazione al quale la Corte ha anzitutto rilevato come questo esuli dalle diverse nozioni di prestazioni di ricovero e di somministrazioni di medicinali, presidi sanitari e vitto.
Come si evince dalla motivazione della pronuncia in commento, in merito al concetto di “prestazione di cura” la tesi del ricorrente si è fondata sull’assunto per cui “le prestazioni rese da una struttura autorizzata utilizzando acque termali sono per definizione prestazioni di cura”, rendendo superflua ogni ulteriore valutazione.
Per contro i giudici di merito, aderendo alla tesi dell’Agenzia delle entrate, hanno ritenuto che ai fini del riconoscimento dell’esenzione da imposta delle prestazioni termali sia necessario “stabilire se esse [siano] finalizzate a interventi terapeutici o di benessere fisico”.
La Corte, conformemente al consolidato orientamento secondo cui le norme di esenzione dall’Iva vanno intese in senso restrittivo, ha rigettato la prospettazione della ricorrente – che, osservano i giudici, introdurrebbe “una presunzione assoluta di curatività, ossia un regime probatorio agevolato […] rispetto a norme […] che costituiscono un’eccezione a una regola generale e per le quali dunque l’onere di provare la sussistenza dei requisiti integranti la fattispecie non può che gravare sul contribuente” – e ha invece chiarito che “la nozione di “cura” implica una valutazione delle condizioni del destinatario della relativa prestazione, presuppone cioè uno stato morboso di bisogno che la cura ha il compito perlomeno di alleviare”.
Il ragionamento della Corte si colloca nel solco di una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, infatti ampiamente citata, secondo cui se è vero che “lo scopo terapeutico di una prestazione non deve essere necessariamente inteso in un’accezione rigida, ben potendo godere dell’esenzione anche le prestazioni mediche effettuate a fini profilattici […] (Corte giust. U.E. 5 marzo 2020, C-48/19, X-GmbH, punto 29, Corte giust. U.E. 10 giugno 2010, Future Health Technologies, C-86/09, punti 41 e 42, Corte giust. U.E. 21 marzo 2013, PFC Clinic, C-91/12, punto 27)” (vedi articolo “Consulenze telefoniche sulla salute; esenzione Iva a determinate condizioni”), resta fermo che “il criterio da seguire è quello della idoneità della singola prestazione a perseguire uno scopo curativo, attraverso una valutazione caso per caso che esclude le generalizzazioni fondate sulla tipologia di prestazione o sul “nomen” eventualmente utilizzato”.
Tale indirizzo interpretativo è peraltro conforme a uno specifico precedente della stessa Corte di cassazione che, in tema di prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione di cui al n. 18), ha statuito: “in presenza di prestazioni non meglio individuate quali “visite mediche” […] e in assenza di elementi da cui poter evincere l’esatta natura di tali “visite”, […] la genericità della definizione degli interventi medici posti in essere dal contribuente non consente di poter ritenere che gli stessi fossero preordinati alla tutela, mantenimento o ripristino della salute della persona, e potessero essere considerato quali “prestazioni mediche”” (cfr. Cassazione n. 25540/2018).
Coerentemente, nel caso in esame, il Giudice di legittimità – confermando la correttezza dell’operato dell’amministrazione finanziaria – ha posto l’accento sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della società, sia in sede di verifica fiscale sia in sede di giudizio di merito, non avendo la stessa fornito alcun elemento che permettesse di verificare né l’effettivo oggetto né i destinatari delle prestazioni rese, le quali tuttavia non potevano considerarsi esenti da imposta per il solo fatto di essere qualificate come “prestazioni termali”.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
Comments are closed.