Il socio accomandatario della società in accomandita semplice, dichiarata fallita nel 2022, non può accedere, nel 2023, al regime forfettario (articolo 1, commi da 54 a 89, legge n. 190/2014). La dichiarazione di fallimento di una società di persone, in sé considerata, non vale a escludere a priori la possibile percezione di un reddito di partecipazione in capo al socio. Nel corso della procedura, infatti, durante l’esercizio provvisorio dell’impresa o dopo la chiusura del fallimento per soddisfacimento integrale dei creditori, in seguito alla cessazione dell’attività, può verificarsi la conseguente ripartizione del residuo attivo.
Lo afferma l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 422/2022, fornita a un contribuente, il quale al contrario pensava non sussistessero cause ostative, in quanto nell’ambito della procedura fallimentare, sebbene la titolarità delle quote in capo ai soci rimanga iscritta almeno fino alla chiusura del fallimento e alla successiva cancellazione della società dal registro delle imprese, di fatto la società, con l’intervenuta dichiarazione, cessa ogni attività di impresa. Secondo l’istante questo fatto comporta che la sua partecipazione sussista solo formalmente, senza esplicare alcun effetto ostativo (lettera d), comma 57).
Dopo la consueta rilettura delle norme di riferimento e della prassi collegata (in questo caso, la circolare n. 9/2019, emanata in seguito alle modifiche al regime apportate dalla legge di bilancio per quell’anno), l’Agenzia rileva che l’apertura del fallimento comporta che il soggetto fallito venga privato dell’amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di apertura della procedura e quelli che pervengono durante la stessa. Subentra, infatti, con l’apertura della procedura, la figura del curatore, che è l’organo del fallimento a cui è demandato il compito di gestire la procedura e di amministrare il patrimonio del soggetto fallito al fine di liquidarlo e di dare soddisfazione alle ragioni dei creditori ammessi al passivo mediante il pagamento dei loro crediti.
Con la dichiarazione di fallimento, l’attività d’impresa si arresta e i beni aziendali sono destinati a essere liquidati per soddisfare i creditori. Tuttavia, è ancora possibile una continuazione, anche se provvisoria, dell’attività d’impresa, quando ciò sia funzionale a una migliore liquidazione del complesso aziendale. Tale continuazione è possibile sia contestualmente alla dichiarazione di fallimento, qualora dall’interruzione possa derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori, ovvero in una fase successiva, su impulso del comitato dei creditori che si sia espresso favorevolmente.
Riguardo al periodo d’imposta del fallimento, esso è costituito da un unico periodo pari all’intera durata del procedimento, anche se vi è stato esercizio provvisorio dell’impresa, e il reddito finale del fallimento si determina come differenza tra il residuo attivo, eventualmente risultante al termine della procedura concorsuale, e il patrimonio netto all’inizio della procedura.
Quindi, conclude l’Agenzia, la dichiarazione di fallimento di una società di persone, non esclude tout court la possibile percezione di un reddito di partecipazione in capo al socio. Ne consegue che, nel caso concreto, risulta integrata la causa ostativa descritta all’articolo 1, comma 57, lettera d), della legge n. 190/2014.
fonte fiscooggi.it