Quando si parla di “società a ristretta base azionaria” si fa riferimento ad una società composta da un numero ristretto di soci, tra loro generalmente legati da vincoli personali e familiari.
Già in passato, la giurisprudenza di legittimità aveva affrontato il tema dell’accertamento induttivo a carico delle società a ristretta base familiare, delineando e ribadendo che è legittimo imputare ai soci gli evenutali maggiori redditi accertati in sede di verifica fiscale, nonchè tassarli presso gli stessi per trasparenza.
Si tratta di una vicenda estremamente paradigmatica e di estremo interesse con riferimento al settore che vede coinvolte le società con una esigua base societaria, sovente soggetta ad una diffusa metodologia di accertamento che vede addebbitare ai soci il carico impositivo nascosto dalla società.
Tuttavia, sono molteplici e di vario ordine le critiche che possono essere mosse alla giurisprudenza della Cassazione, che sarebbe opportuno ripensasse il proprio orientamento.
Ed invero, di recente la Suprema Corte è giunta a conclusioni diametralmente opposte, ritenendo che la dimostrazione della ristrettezza della base societaria è condizione necessaria, ma non sufficiente per l’accertamento dei maggiori redditi di capitale a carico dei soci.
Nello specifico, stiamo parlando dell’ordinanza n.923 del 20 Gennaio 2020, con la quale la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente, fondato solo ed esclusivamente sulla presunzione della ristretta base azionaria.
La Suprema Corte, in tal modo, dimostra che per imputare un maggior reddito ai soci di società di capitali non è sufficiente la mera constatazione che trattasi di una società a ristretta base partecipativa costituita da componenti di uno stesso nucleo familiare.
Invero, il semplice riferimento alla particolare composizione della compagine societaria non è null’altro che una supposizione, una congettura, qualora non concorrano altri elementi in grado di radicarne la gravità, precisione e concordanza.
Tale recentissimo orientamento giurisprudenziale, suggerisce una verifica da svolgersi caso per caso con particolare cautela, imponendo agli Uffici impositori di raccogliere alcuni, seppur, minimi indizi circa un possibile ed effettivo trasferimento di somme di denaro dalla società ai soci, atteso che, il denaro lascia sempre una traccia, anzitutto documentale, che consente di ricostruirne la movimentazione.
Pertanto, in relazione agli utili non contabilizzati, a parere di chi scrive, non dovrebbe ammettersi alcun automatismo tra la posizione della società e quella del socio, in quanto, queste soluzioni finiscono solo per incrementare forme di ingiustificabile arbitrio che contribuiscono ad alimentare l’idea di uno Stato nemico, dal quale il cittadino debba in qualche modo difendersi.
by Avv. Rita della Gaggia Area Imprese Network
Comments are closed.