L’indebito tributario è sempre soggetto ai medesimi termini di decadenza e prescrizione previsti dalle singole leggi d’imposta a prescindere dal motivo della non debenza, anche qualora esso consista nel contrasto con norme di diritto comunitario o jus superveniens con applicabilità retroattiva.
Questo il principio desumibile dalla ordinanza della Corte di cassazione n. 13234 del 29 aprile 2022.
La vicenda processuale
Il contribuente impugnava presso la Corte di cassazione la sentenza n. 112/11/2013 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la quale aveva respinto il suo appello, confermando la pronuncia di primo grado di rigetto del ricorso avverso il diniego di rimborso dell’Irpef relativa all’indennità di incentivo all’esodo.
La pronuncia della Corte suprema
La Cassazione ha confermato la legittimità del diniego al rimborso emesso dall’amministrazione finanziaria, in conseguenza della tardiva presentazione dell’istanza da parte del contribuente, chiarendo che “il termine di decadenza per il rimborso sulle imposte sui redditi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla data del versamento o da quella in cui la ritenuta è stata operata, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione Europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di legittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia presente una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche”. Sottolineano, altresì, i giudici che “Ciò comporta che anche le richieste di rimborso dei tributi incompatibili con la normativa comunitaria devono essere presentate entro i termini di decadenza, termini che non contrastano con le disposizioni comunitarie”.
Osservazioni
L’articolo19 comma 4-bis del Dpr n. 917/1986, in vigore fino al 3 luglio 2006, prevedeva, per le somme percepite a titolo di incentivo all’esodo volontario, un’aliquota agevolata pari alla metà di quella ordinariamente applicabile sul trattamento di fine rapporto e sulle indennità equipollenti, subordinatamente al requisito del raggiungimento dell’età di 55 anni per gli uomini e 50 per le donne.
A seguito dell’intervento della Corte di giustizia delle Comunità europee che aveva ritenuto la suindicata norma in contrasto con l’ordinamento comunitario (sentenza 21 luglio 2015 causa C-207/04), il legislatore con il Dl n. 223/2006 abrogò il citato comma 4bis eliminando quindi dalla legge la disparità di trattamento dell’età.
La pronuncia giurisdizionale che dichiara l’illegittimità o la incompatibilità di una disposizione nazionale in contrasto con un’altra interna (Corte costituzionale) o sovranazionale (Corte di giustizia delle Comunità Europee) ha l’effetto di retroagire anche ai rapporti giuridici sorti anteriormente all’emanazione della pronuncia medesima.
Il Fisco, con la circolare n. 62/2008, nel chiarire tale effetto, ha tuttavia evidenziato che riguarda i rapporti non ancora esauriti.
L’ordinanza in commento, in continuità con l’orientamento giurisprudenziale, ha confermato ciò, stabilendo da una parte l’applicabilità ai rapporti pregressi, ma dall’altra la insuperabilità delle vicende già cristallizzate.
Infatti le sezioni unite della Corte suprema, con la sentenza n. 13676/2014, dopo aver chiarito che il termine di 48 mesi, per richiedere il rimborso di cui all’articolo 38 del Dpr n. 602/1973, decorrente dalla data del versamento o da quella in cui viene operata la ritenuta, è applicabile anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, hanno precisato che “in tema di rimborso di imposte sui redditi l’indebito tributario è soggetto ai termini di decadenza o prescrizione previsti dalle singole leggi d’imposta, qualunque sia la ragione della non debenza …” (cfr anche Cassazione, pronuncia n. 15276/2008).
L’ordinanza n. 41334/2021 del Collegio di legittimità ha stabilito che “Questa Corte è ferma nel ritenere … il termine di decadenza, … decorre dalla data di detto versamento, e non da quella in cui è intervenuta la pronuncia comunitaria che ne ha sancito la contrarietà all’ordinamento comunitario …”. Tale interpretazione è stata confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria nel rispetto dei principi di certezza del diritto alla cui tutela sono posti gli istituti della decadenza e della prescrizione, rimanendo intangibili i rapporti esauriti. Concludono quindi i i giudici di piazza Cavour “…il fatto che una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con effetto retroattivo, abbia dichiarato in contrasto con una direttiva comunitaria … non è sufficiente a mutare le regole vigenti in materia di decadenza … Spetta in definitiva al solo legislatore … la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali coinvolti, … in ordine all’eventuale introduzione di norme che prevedono termini e modalità di “riapertura” dei rapporti esauriti…” (cfr ex multis Cassazione, pronunce nn. 15311/2021, 1262/2021, 21980/2021 e 20804/2020).
Inoltre, con la sentenza n. 7390/2019, i giudici di legittimità, nel ribadire i principi sopra esposti, hanno aggiunto che il predetto limite non contrasta con la giurisprudenza e l’ordinamento comunitario chiarendo “…, senza che, in senso contrario, assuma rilevanza la giurisprudenza sulla tutela del legittimo affidamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, atteso che la stessa Corte ha più volte precisato che la materia tributaria rientra nel c.d. “nucleo duro” delle prerogative della potestà pubblica, sicché predomina la natura autoritativa del rapporto tra il contribuente e la collettività ed i singoli Stati godono di ampia discrezionalità, …”.
Già in precedenza la Corte suprema evidenziava che “ciò comporta che anche le richieste di rimborso dei tributi incompatibili con la normativa comunitaria devono essere presentate entro i termini di decadenza, termini che non contrastano con le disposizioni comunitarie (Cassazione, pronuncia n.17009/2012).
La stessa giurisprudenza comunitaria ha affermato che “il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro di opporre un termine nazionale di decadenza alle azioni di rimborso di tributi percepiti in violazione di disposizioni comunitarie, anche se questo Stato membro non ha ancora modificato la propria normativa interna per renderla compatibile con tali disposizioni” (sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96).
Oltre alla presentazione dell’istanza nei termini sopra indicati, il contribuente deve altresì fornire adeguata prova della sussistenza dell’incentivo all’esodo medesimo. Infatti, con la recentissima ordinanza n. 13075/2022 la Corte ha stabilito che “… il lavoratore ove proponga istanza di rimborso dell’Irpef …, assumendo di aver percepito l’indennità come incentivo all’esodo volontario, è tenuto a dimostrare, mediante idonea documentazione, che l’erogazione del contributo è avvenuta a tale titolo” (cfr anche Cassazione nn. 14425/2022 e 18838/2019) e ha successivamente chiarito che tale prova non può consistere in un semplice richiamo nell’ istanza evidenziando che “Il ragionamento del giudice d’appello, il quale ha ritenuto concretasse idonea prova, … la mera conoscibilità da parte dell’Ufficio di un atto di adesione individuale all’accordo collettivo, non prodotto in giudizio, ma risultante solo indicato tra gli allegati a una … istanza di rimborso già inviati all’Ufficio è errato in diritto, sovvertendo l’onere probatorio pacificamente a carico del richiedente il rimborso, ….”.
fonte fiscooggi.it