Con la sentenza n. 224 del 7 febbraio 2022, la Commissione tributaria provinciale di Catanzaro ha stabilito che la notifica di un provvedimento di revoca della sospensione non consente al contribuente di impugnare, assieme a tale atto, ai sensi dell’articolo 2-quater, comma 1 quinquies, del Dl n. 564/1994, la correlata cartella di pagamento divenuta definitiva anche al di là dei termini perentori previsti dalla legge.
La vicenda processuale trae origine dalla notifica a una società di una cartella di pagamento derivante dal controllo automatizzato (articolo 36-bis del Dpr n. 600/1973) della dichiarazione Modello Unico.
La società presentava istanza di annullamento a seguito di ricezione della comunicazione di irregolarità, che veniva parzialmente accolta, con riduzione degli importi richiesti.
Seppur informata che il mancato versamento nel termine previsto avrebbe implicato l’iscrizione a ruolo, la contribuente non provvedeva a versare quanto richiesto “bonariamente” e, di conseguenza, riceveva la cartella di pagamento.
L’Ufficio, sulla base di una nuova memoria presentata dalla società, provvedeva allo sgravio parziale della cartella di pagamento e, in applicazione dell’articolo 2-quater, comma 1-bis, del Dl n. 564/1994, sospendeva la riscossione delle somme richieste in attesa di un ulteriore esame dell’istanza di parte.
Nel frattempo la cartella di pagamento si rendeva definitiva per mancata impugnazione nei termini di legge. Concluso l’esame dell’istanza di parte, l’Ufficio notificava alla società un provvedimento di revoca della sospensione.
Con ricorso presentato dinanzi la Ctp, la società impugnava il provvedimento di revoca della sospensione, assieme all’iscrizione a ruolo sottesa alla cartella di pagamento.
La ricorrente sosteneva la tempestività dell’impugnazione in quanto applicabile al caso di specie la disposizione speciale prevista dall’articolo 2 quater, comma 1 quinquies, del Dl n. 564/1994, secondo cui “La sospensione degli effetti dell’atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest’ultimo, anche l’atto modificato o confermato”.
Ad avviso di controparte tale norma speciale integrerebbe il disposto delle norme generali, per cui, avendo la società proposto ricorso, entro i termini di legge, avverso l’atto “confermativo” di quello sospeso (il provvedimento di revoca della sospensione) assieme all’atto confermato (ossia l’iscrizione a ruolo), il ricorso sarebbe tempestivo.
L’Ufficio, oltre a difendersi nel merito, eccepiva l’inammissibilità del ricorso ex articoli 18, 19 e 21 del Dlgs n. 546/1992. D’altronde, trattandosi di impugnazione tardiva di una cartella di pagamento, regolarmente notificata e divenuta definitiva, insisteva per la dichiarazione di inammissibilità, ai sensi dell’articolo 21 del Dlgs n. 546/1992.
La Ctp di Catanzaro, con la sentenza n. 2265 del 20 luglio 2015, ha dichiarato inammissibile il ricorso di parte, ai sensi dell’articolo 21 del Dlgs n. 546/1992.
Il Collegio ha osservato che, con la richiesta di agire in autotutela, l’interessato, destinatario di un provvedimento sfavorevole, chiede all’Amministrazione di valutare nuovamente il proprio operato e di annullare (o modificare) d’ufficio i propri atti che riconosca essere effettivamente viziati sotto il profilo della legittimità (annullamento) o anche del merito (revoca). Dunque “la richiesta di autotutela non comporta un obbligo di provvedere ma rappresenta soltanto una sollecitazione di poteri esercitabili d’ufficio”.
Logicamente la Ctp ha riconosciuto come l’impugnazione della revoca della sospensione sia consentita proprio dal citato articolo 2-quater, comma 1 quinquies. Diversamente, circa l’impugnabilità della cartella di pagamento, la Commissione ha ritenuto che l’impugnazione dell’atto sospeso, assieme all’atto modificativo o confermativo, possa avvenire solo se non siano ancora spirati i termini perentori previsti dal Dlgs n. 546/1992.
Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, con la sentenza n. 1685/2018, ha rimesso la causa di nuovo alla Ctp, dichiarando nulla la sentenza impugnata dalla società per un vizio procedurale.
Con la sentenza n. 224/2022, la Ctp di Catanzaro (altra sezione) ha dichiarato ancora una volta l’inammissibilità del ricorso.
Il Collegio, richiamando il contenuto dell’art. 2 quater, comma 1 quinquies, del Dl n. 564/1994, ha ribadito come la cartella in questione non sia stata “modificata” o “confermata” da alcun atto successivo. Ad avviso del Collegio, l’unico provvedimento che è stato modificato – nel senso della revoca – è stato quello con il quale è stata disposta la sospensione degli effetti della cartella impugnata, conseguentemente non ha ritenuto “che la notifica della revoca della sospensione abbia consentito di rimettere in termini il contribuente ai fini dell’impugnazione della relativa cartella.”
La ratio decidendi della sentenza in commento consiste nell’aver ritenuto il rapporto tributario sotteso alla questione controversa ormai definitivo. D’altronde, l’articolo 21 del Dlgs n. 546/1992 non prevede eccezioni di sorta, essendo senza alcun dubbio il termine ivi indicato assolutamente perentorio.
Se la pretesa erariale recata da una cartella di pagamento si è resa definitiva per mancata impugnazione, la stessa non può essere rimessa in discussione attraverso l’impugnazione del provvedimento di revoca della sospensione.
Al più, avverso l’atto in questione può essere proposto il ricorso per vizi propri, ma non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (come osservato nella prima pronuncia della Ctp catanzarese).
Più volte la Corte di cassazione, anche a Sezioni unite, ha ribadito che contro il diniego dell’amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (Cassazione n. 16097/2009, Cassazione Sezioni unite n.3698/2009, Cassazione n. 11457/2010, Cassazione 18999/2018).
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