La Cassazione ha chiarito che, nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche, le sanzioni amministrative tributarie sono irrogate nei confronti della persona fisica quando la società di capitali è stata artificiosamente costituita a fini illeciti, nell’esclusivo interesse della persona che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tale ipotesi non opera la regola generale sancita dall’articolo 7, comma 1 del Dl n. 269/2003 per cui, nel caso di rapporti fiscali facenti capo a società di capitali, le sanzioni amministrative tributarie sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Lo ha affermato la Cassazione, nell’ordinanza n. 18116 del 6 giugno 2022.
Il fatto
La controversia trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate ha accertato un maggior imponibile ai fini delle imposte dirette e Iva oltre sanzioni ed interessi, nei confronti di una società di capitali. L’atto impositivo de qua è stato notificato sia alla persona giuridica che alla persona fisica che, nel periodo d’imposta accertato, rivestiva la qualifica di amministratore di fatto della società. L’amministratore ha impugnato l’atto impositivo lamentando violazione del disposto di cui al primo comma dell’articolo 7 del Dl n. 269/2003 per cui le sanzioni amministrative, relative al rapporto fiscale proprio di enti e società provviste di personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica e non sono applicabili agli amministratori o ai rappresentanti.
Il ricorso proposto dal contribuente è stato accolto dalla Ctp e la sentenza confermata dalla Ctr. Avverso la decisione d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione lamentando falsa applicazione dell’articolo 7, commi 1 e 3, del Dl n. 269/2003. La Corte di cassazione ha accolto il motivo di doglianza dell’Amministrazione finanziaria e, nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, ha meglio definito il principio della responsabilità delle sanzioni amministrative tributarie in caso di rapporti fiscali facenti capo a società di capitali.
La decisione
Nel ritenere fondato il motivo di ricorso dedotto dall’Agenzia delle entrate i giudici di legittimità hanno tracciato il quadro normativo e giurisprudenziale sulla responsabilità delle sanzioni amministrative.
A riguardo l’articolo 9, comma 1 del Dlgs n. 472/1997 sancisce il principio generale per cui, nei casi in cui una violazione sostanziale, incidente sulla determinazione o sul pagamento del tributo, è commessa “dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso.”
A tale norma è succeduto l’articolo 7 del Dl n. 269/2003 che sancisce, al primo comma, che “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.”
Pertanto, dopo l’entrata in vigore del citato articolo 7, le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica, anche quando l’entità sia gestita da un amministratore di fatto. Si deve pertanto escludere il concorso tra società e amministratore di fatto perché l’articolo 9 del Dlgs n. 472/1997 è stato superato dalla norma del 2003 che sì, prevede espressamente l’applicabilità delle disposizioni del decreto del 1997, “ma solo in quanto compatibili.”
Questo significa che prima dell’entrata in vigore del Dl n. 269/2003, più precisamente fino alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non fosse stata irrogata alla data di entrata in vigore del decreto del 2003, l’amministratore di fatto della società alla quale fosse riferibile il rapporto fiscale ne avrebbe risposto direttamente, in base al principio di legalità sancito dall’articolo 3, comma 2 del Dlgs n. 472/1997 secondo cui “nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile.”
Tuttavia, la regola dell’esclusiva riferibilità alla persona giuridica successiva all’introduzione dell’articolo 7 del Dl n. 269/2003 incontra un limite importante nella artificiosa costituzione ai fini illeciti della società di capitali.
Infatti quando l’entità è una mera fictio giuridica, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica, le sanzioni amministrative tributarie devono essere irrogate nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate perché in questo caso “la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente.” In tale circostanza non operano le disposizioni contenute nell’articolo 7 del Dl n. 269/2003 “in quanto detta norma intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima.”
Nel caso di specie la Ctr non ha dato corretta applicazione dei principi consolidati della giurisprudenza di legittimità perché ha escluso ex se le sanzioni amministrative a carico dell’amministratore di fatto invocando l’articolo 7 del Dl n. 269/2003. Così facendo il giudice di merito ha omesso di accertare se la persona giuridica fosse una finzione creata nell’esclusivo interesse della persona fisica e quindi di appurare chi, tra società e amministratore di fatto, fosse il beneficiario delle violazioni contestate, alterità che rappresenta il presupposto indispensabile per l’applicabilità del citato articolo 7.
fonte fiscooggi.it