Un sopravvenuto titolo giudiziale riduce la pretesa contenuta nell’accertamento? Il giudice non può annullare integralmente la cartella di pagamento ma deve ricondurla alla misura corretta, pari alla differenza tra l’iniziale pretesa e l’oggetto dello sgravio cristallizzato nel titolo.
E’ quanto precisato dalla Quinta sezione civile della Cassazione, nel testo dell’ordinanza n. 39660 del 13 dicembre 2021, pronunciata in accoglimento del ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate contro una decisione con cui la CTR aveva provveduto all’annullamento, per intero, di quattro cartelle esattorial notificate a una Spa.
Nella decisione della Corte territoriale, era stato dato peso decisivo alla riforma, nel merito, del contenuto della pretesa impositiva di cui agli avvisi di accertamento sottostanti alle cartelle, delle quali l’Agente della riscossione non aveva tenuto conto, non adottando il consequenziale provvedimento in autotutela, riduttivo della pretesa nei confronti della contribuente per la sola differenza.
Il sopravvenuto titolo giudiziale afferente il merito era stato ritualmente prodotto nel processo e sottoposto al contraddittorio delle parti.
La Commissione tributaria, ciò posto, aveva annullato interamente tutte le cartelle quando, secondo la Suprema corte, non avrebbe potuto farlo, proprio in conseguenza dell’accertamento dalla stessa operato di intervenuta riduzione delle riprese sulla base di sopravvenuto titolo giudiziale.
Questo alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità: il processo tributario è annoverabile tra quelli di impugnazione -merito, in quanto diretto a una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio.
Di conseguenza, il giudice, laddove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di merito, ma anche quando nel giudizio venga accertata l’esistenza di una invalidità derivata, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte.
Il Collegio di legittimità, sul punto, ha enunciato apposito principio di diritto, che trae ragione dalla citata natura “di impugnazione-merito” del processo tributario, e dal rispetto dei principi del giusto processo, diretti a contenere i tempi della giustizia di cui agli artt. 111 Cost., 47 CDFUE e 6 CEDU.
Per la Cassazione, “il giudice, adito in una causa di impugnazione di cartella di pagamento, ove sia accertata l’esistenza di un titolo giudiziale definitivo che abbia ridotto la pretesa originariamente contenuta nell’avviso di accertamento presupposto, con conseguente insussistenza parziale, rispetto alle originarie pretese, del suo presupposto legittimante, non può invalidare “in toto” la cartella, ma è tenuto a ricondurre la stessa nella misura corretta, annullandola solo nella parte non avente più titolo nell’accertamento originario”.
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