Negli ultimi anni, la crescente consapevolezza dell’opinione pubblica sul problema dell’inquinamento da plastica ha portato all’attuazione di numerose politiche di prevenzione dei rifiuti in tutto il mondo. La multifunzionalità e il costo relativamente basso della plastica ne fanno un materiale onnipresente nella vita quotidiana. Il suo uso sempre più diffuso in applicazioni di breve durata, di cui non è previsto il riutilizzo né un riciclaggio efficiente, si traduce in modelli di produzione e consumo sempre più inefficienti, con l’effetto di alimentare un inquinamento massivo, in particolare dei mari, oramai fuori controllo. Per mutare un tale scenario, il Regno Unito e la Spagna hanno adottato, elaborato e predisposto la plastic tax, quindi uno strumento fiscale, la cui recente entrata in vigore comporterà, si spera, il passaggio o l’incentivazione d’una economia circolare, votata a riutilizzare beni, prodotti e componenti derivati dalla catena produttiva, impedendone la dispersione indiscriminata a danno dell’ambiente e della salute delle persone.
2030, l’età dell’Europa circolare
Le singole novità non sono occasionali ma s’inseriscono in un progetto di ampio orizzonte. Per trovare una soluzione alla crescente produzione e dispersione di rifiuti di plastica nell’ambiente in cui viviamo, anche l’Unione europea ha adottato una “Strategia europea per la plastica nell’economia circolare”, il cui obiettivo, ambizioso, è di evitare di disperdere la plastica nell’ambiente, raggiungendo la riciclabilità di tutti gli imballaggi di plastica entro il 2030.
È in questo contesto che s’inserisce l’adozione, da parte di Londra e Madrid, di una forma d’imposizione, la plastic tax, il cui scopo non è di produrre extra-gettito, ma di indurre l’intera filiera produttiva e di utilizzo/consumo/dispersione della plastica a rimodellarsi in chiave circolare. In realtà, nell’impianto strategico dell’Ue non esiste un obbligo all’adozione della plastic tax da parte degli Stati membri, ma l’indicazione ad adottare misure che favoriscano il modello circolare dell’economia, sia che si tratti di nuove tasse ad hoc, o di maggiori oneri amministrativi, di regole e procedure più stringenti a seconda delle capacità e dei deficit delle singole realtà nazionali. Al riguardo, spesso si cita l’esempio svedese, dove una catena di riciclo e riutilizzo di elevata qualità di fatto rende inutile l’adozione della plastic tax, guardando piuttosto all’introduzione di obblighi ancora più stringenti in favore del riciclo.
Regno Unito, 200 sterline al fisco ogni tonnellata di plastica
La tassa britannica sugli imballaggi in plastica, in vigore dal 1 aprile scorso, si applica agli imballaggi in plastica prodotti o importati nel Regno Unito in cui la plastica utilizzata per la loro fabbricazione risulta riciclata al di sotto del limite del 30%. L’aliquota della tassa sarà di 200 sterline per tonnellata metrica di imballaggi di plastica. L’obiettivo è incoraggiare l’uso di plastica riciclata anziché nuova all’interno degli imballaggi in plastica. Si spera che questo, a sua volta, stimoli maggiori livelli di riciclaggio e raccolta dei rifiuti di plastica, distogliendoli dalle discariche o dall’incenerimento, così da avviare la ridefinizione di un’economia circolare su ampia scala. Comunque, è prevista un’esenzione per le aziende che producono e/o importano meno di 10 tonnellate di imballaggi in plastica in un periodo di 12 mesi. Al riguardo, nel caso in cui l’impresa superi il limite delle 10 tonnellate ma, al contempo, includa il 30% o più di materiale plastico riciclato nel suo imballaggio di plastica, dovrà sì registrarsi sul sito delle Entrate britanniche per la plastic tax, provvedendo ad inviare report trimestrali, ma non pagherà alcuna tassa. Lo stesso per gli imballaggi in plastica fabbricati o importati per l’imballaggio immediato di medicinali autorizzati “per uso umano”, anch’essi esclusi dall’imposta sugli imballaggi in plastica.
Plastic tax spagnola, 450 euro a tonnellata e sanzioni fino al 150% in caso di mancato pagamento
Nel caso spagnolo, la nuova tassa sugli imballaggi in plastica non riutilizzabili vedrà la luce non quest’anno ma a partire dal 1° gennaio 2023. In sostanza, prevede un’aliquota di 0,45 euro per kg di imballaggi in plastica non riciclati ed è prevista raccogliere circa 724 milioni di euro l’anno. È molto simile all’analoga imposta italiana sugli imballaggi in plastica, la cui entrata in vigore è prevista anch’essa per il 1° gennaio 2023. Si registrano tuttavia differenze maggiori rispetto alla tassa sugli imballaggi in plastica già in vigore dal 1° aprile 2022 nel Regno Unito. La nuova tassa, infatti, avrà un impatto sulla maggior parte delle attività industriali e di prodotti di consumo, in quanto è applicabile alla produzione, importazione e acquisto intracomunitario di imballaggi in plastica non riutilizzabili per il loro uso finale all’interno del mercato spagnolo, copre sia le transazioni dei materiali di imballaggio (vuoti) stessi sia i prodotti confezionati ed è applicabile agli imballaggi primari, secondari e terziari. L’identikit dei prodotti in plastica interessati è il seguente: contenitori di plastica non riutilizzabili, semilavorati in plastica (ad esempio preforme, fogli termoplastici) destinati alla produzione di contenitori in plastica non riutilizzabili, prodotti in plastica volti a facilitare la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei contenitori non riutilizzabili. I prodotti contenenti più materiali saranno tassati esclusivamente in base al peso effettivo della plastica non riciclata. Pertanto, non è necessario che la plastica sia il materiale principale della confezione. Al riguardo, contrariamente alla tassa britannica sugli imballaggi in plastica, non esiste una soglia di contenuto riciclato per determinare la tassabilità del prodotto.
Come nel Regno Unito, anche in Spagna sono invece previste delle esenzioni, in particolare per medicinali, prodotti sanitari, pasti per usi medici speciali, rifiuti sanitari pericolosi. In termini fiscali, la base imponibile considerata è la quantità, espressa in chilogrammi, di imballaggi in plastica non riutilizzabili, mentre la plastica riciclata, sia come risultato di processi di riciclaggio meccanici o chimici, non è tassabile. I contribuenti possono essere in grado di fornire un certificato emesso da un ente accreditato che dimostri l’importo e la natura riciclata del prodotto. L’aliquota d’imposta sarà di 0,45 euro per chilogrammo. Per il mancato pagamento della tassa sono previste sanzioni dal 50% al 150% dell’importo non pagato.
Mondo anglosassone all’insegna della plastic tax
Nell’ottobre 2011, il Galles è stato il primo Paese del Regno Unito a introdurre un onere obbligatorio su tutte le buste della spesa, indipendentemente dal materiale, al fine di limitarne il consumo in base a quanto ottenuto attraverso un accordo volontario con i supermercati. La tassa si applica ai sacchetti monouso realizzati interamente o principalmente da plastica, carta e amido vegetale che non sono destinati a un riutilizzo multiplo. L’addebito ha contribuito con successo a ridurre il consumo di borse/buste per la spesa, che è stato stimato in calo del 71% tra il 2011 e il 2014. E ancora, nel 2014 in Scozia è stata introdotta una tassa obbligatoria sulle buste per la spesa, fissando così un prezzo minimo di 0,05 sterline per le nuove buste monouso fornite al punto vendita e realizzate in plastica, carta e alcuni materiali di origine vegetale. L’ente Zero Waste Scotland ha stimato che l’addebito ha contribuito a ridurre l’uso delle buste della spesa di circa l’80% nelle 7 principali catene di vendita al dettaglio nel suo primo anno di applicazione, per un importo di almeno 650 milioni di buste in meno. L’Irlanda, invece, ha introdotto un prelievo sui sacchetti di plastica di 0,15 euro nel 2002. La tassa, riscossa sui consumatori, si applica ai sacchetti realizzati interamente o parzialmente in plastica, venduti in qualsiasi punto vendita. Il governo ha fissato la tassa a questo livello a seguito di un sondaggio che indicava che la disponibilità media dei consumatori a pagare per i sacchetti di plastica si aggirava intorno a 0,024 euro. Il segnale del prezzo è stato quindi fissato a 0,15 euro, oltre 6 volte superiore alla media della “disponibilità a pagare”. Ciò ha portato a un’immediata riduzione del 90% dell’uso dei sacchetti di plastica. Poiché il consumo di sacchetti di plastica monouso ha ripreso ad aumentare nel 2006, l’imposta è stata aumentata da 0,15 euro a 0,22 euro per busta. La tassa irlandese sulle buste di plastica monouso è stata particolarmente efficace nel ridurne il consumo, anche grazie all’importante campagna informativa di accompagnamento che, spiegando gli obiettivi politici e le destinazioni del gettito fiscale, ha aperto la strada a una diffusa consapevolezza.
In un Mondo di Plastica, dove la vita e l’economia si misurano a kg di macro e micro-plastiche prodotte per singolo individuo
Nell’Unione europea, dall’80 all’85% dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50% e gli oggetti collegati alla pesca il 27% del totale. I prodotti di plastica monouso e gli attrezzi da pesca contenenti plastica sono pertanto un problema particolarmente serio nel contesto dei rifiuti marini, in quanto mettono pesantemente a rischio gli ecosistemi marini, la biodiversità e la salute umana. Vi sono poi le microplastiche, ancor più insidiose, perché l’inquinamento terrestre e la contaminazione del suolo è causata non solo da oggetti di plastica di grandi dimensioni ma dai frammenti o dalle microplastiche che ne derivano. Perché questo? Secondo un nuovo rapporto dell’Ocse, il mondo produce il doppio dei rifiuti di plastica rispetto a due decenni fa, la maggior parte dei quali finisce in discarica, incenerita o dispersa nell’ambiente e solo il 9% viene riciclato con successo. Il primo Global Plastics Outlook dell’Ocse mostra che mentre l’aumento della popolazione e dei redditi determina un aumento incessante della quantità di plastica utilizzata e gettata via, le politiche per frenarne la dispersione nell’ambiente stanno diminuendo. Quasi la metà di tutti i rifiuti di plastica viene generata nei Paesi ricchi. I rifiuti di plastica prodotti annualmente per persona variano da 221 kg negli Stati Uniti e 114 kg nei Paesi europei, mentre il livello medio è a 69 kg, in media, per Giappone e Corea. La maggior parte dell’inquinamento da plastica deriva dalla raccolta e dallo smaltimento inadeguati di detriti di plastica più grandi noti come macroplastiche, ma anche, come già accennato, dalla fuoriuscita di microplastiche (polimeri sintetici di diametro inferiore a 5 mm) da elementi come pellet di plastica industriali, tessuti sintetici, segnaletica orizzontale e usura degli pneumatici.
fonte fiscooggi.it