L’inflazione nell’ultimo anno è stata come una patrimoniale da 92 miliardi di euro sui conti correnti degli italiani, 18 volte più cara del prelievo disposto 30 anni fa dal governo Amato. Sono i conti dell’Ufficio studi della Cgia. Tenendo conto che in questi ultimi 12 mesi il tasso di interesse applicato dagli istituti di credito sui depositi bancari si è aggirato attorno allo zero mentre l’inflazione è cresciuta dell’8% – calcola la Cgia – a risparmi invariati, che al 31 dicembre scorso ammontavano complessivamente a 1.152 miliardi, il caro vita ha eroso questi ultimi di 92,1 miliardi di euro.
Nell’estate del 1992 la misura del 6 per mille del governo Amato costò alle famiglie 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Rivalutando questo importo a maggio 2022, il prelievo sale a 5 miliardi di euro; praticamente un “sacrificio” economico 18 volte inferiore ai 92 miliardi stimati, in quest’ultimo anno, dall’Ufficio studi della Cgia.
Come prevedibile, a livello territoriale il costo più salato l’hanno pagato i risparmiatori delle regioni più ricche: in Lombardia la perdita di potere di acquisto è stata di 19,4 miliardi, nel Lazio di 9,3, in Veneto di 8,3 e in Emilia Romagna di 8,12. Se a Nordovest il “prelievo” è stato di ben 29,8 miliardi, nel Mezzogiorno invece ha raggiunto quota 22,8 miliardi; un dato, quest’ultimo, superiore ai 20,7 miliardi registrati nel Nordest e, ancor più, rispetto ai 18,8 miliardi riconducibili al Centro.
L’ufficio studi della Cgia richiama il pericolo di uno scivolamento verso la stagflazione, ossia un periodo di crescita economica molto bassa, se non addirittura negativa, a cui si affianca un’inflazione molto elevata che provoca un aumento del tasso di disoccupazione. Contrastare la stagflazione, segnala l’Ufficio studi della Cgia, è un’operazione molto complessa.
Per attenuare la spinta inflazionistica, gli esperti sostengono che le banche centrali dovrebbero contenere le misure espansive e aumentare i tassi di interesse, operazione che consentirebbe di diminuire la massa monetaria in circolazione.
“Avendo un rapporto debito/Pil tra i più elevati al mondo – sostiene una nota – con l’aumento dei tassi di interesse l’Italia registrerebbe un deciso incremento del costo del debito pubblico. Un problema che potrebbe minare la nostra stabilità finanziaria. Bisognerebbe, infine, intervenire simultaneamente almeno su altri tre versanti: in primo luogo, attraverso la drastica riduzione della spesa corrente e, in secondo luogo, con il taglio della pressione fiscale, unici strumenti efficaci in grado di stimolare i consumi e per questa via alimentare anche la domanda aggregata di beni e servizi. Operazioni, queste ultime, non facili da applicare in misura importante, almeno fino a quando non verrà “rivisto” il Patto di Stabilità a livello europeo. Infine, dovremmo assolutamente introdurre un tetto al prezzo del gas e del carburante. Due voci che in questi ultimi 12 mesi hanno contribuito in misura determinante ad innalzare pericolosamente il nostro livello di inflazione”.
fonte agi.it