Lo scorso 25 luglio l’Ocse ha pubblicato le Revenue Statistics in Asia and the Pacific 2022, il report annuale che fa il punto sulle entrate –fiscali e non fiscali – registrate nei paesi del quadrante asiatico e nel Pacifico. Insieme al report, come ogni anno sono disponibili sul sito dell’Ocse anche le tavole dei dati a navigazione aperta, che consentono di effettuare confronti personalizzati tra paesi dal 1990 in avanti e rispetto a diversi parametri, dalla pressione fiscale al valore assoluto in dollari o valuta locale delle entrate, sia totali sia per tipologia di imposta.
Il rapporto di quest’anno restituisce la fotografia del 2020 e comprende la rilevazione su 28 paesi, con l’aggiunta, rispetto al report precedente, dei dati di Bangladesh, Cambogia, Kirghizistan e Pakistan. Il tratto generale è che nell’anno di inizio della pandemia il rapporto tra le entrate e il Pil nell’area Asia-Pacifico è sceso mediamente dell’1,2%, attestandosi al 19,1%. Il livello del 2020 si colloca al di sotto sia della media Ocse (33,5%) sia di quella dell’area dell’America latina e dei Caraibi (21,9%) (vedi articolo Entrate in America latina e Caraibi. Forte flessione e segnali di ripresa). Se si guarda alla dinamica intercorsa tra 2019 e 2020, lo scalino del -1,2% delle economie del quadrante asiatico-pacifico risulta più marcato rispetto a quello latino americano-caraibico (-0,8%) e dell’area Ocse nel suo complesso, in cui il rapporto si è mantenuto pressoché invariato tra 2019 e 2020 (+0,1%).
I dati nel dettaglio
La media del 19,1% sintetizza un quadro che va dal 8,9% delle entrate su Pil riscontrato in Bhutan e Laos al 47,5% di Nauru. Per quanto riguarda l’Asia, 7 su 18 Paesi hanno una pressione fiscale pari o superiore alla media: si tratta di Corea del Sud (28%) Vietnam (22,7%), Mongolia (21,2%), Cambogia (20,2%), Cina (20,1%), Maldive (19,1%) e più di tutti Giappone (31,4%, ma il dato è del 2019 non essendo ancora disponibile quello aggiornato). Nell’area del Pacifico 6 su 10 sono sopra la media: Australia (27,7% dato 2019 non aggiornato), Isole Cook (19,7%), Nauru (47,5%), Nuova Zelanda (32,2%), Samoa (25%) e Tokelau (20,8%), mentre gli altri quattro Paesi del Pacifico si collocano sotto il 19% (Papua Nuova Guinea (11,6%), Vanuatu (14,2%), isole Fiji (16,6%) e Isole Salomone (18,8%).
In una seconda sezione di questa edizione, il report esplora le possibili prospettive future dei Paesi asiatici per quanto riguarda la capacità di raccolta delle imposte. La rilevazione di fondo è che per i Paesi asiatici, in particolare quelli in via di sviluppo, l’Ocse segnala dei margini di crescita che potrebbero portare il rapporto delle entrate su Pil ad aumentare del 3,6% nei prossimi anni, andando a colmare il divario tra il livello attuale di entrate riscosse e il livello di capacità potenziale, che per alcuni Paesi – l’Ocse indica Malaysia, Thailandia, Pakistan – è particolarmente marcato e quindi promettente.
L’effetto Covid Paese per Paese
Tornando all’analisi dei dati, il report evidenzia che circa tre quarti delle 26 economie per cui i dati sono già disponibili (quindi con l’esclusione di Australia e Giappone per cui il dato di consuntivo non è ancora pubblicato) hanno visto un declino del rapporto entrate su Pil tra 2019 e 2020, in larga misura a causa della crisi sulle economie generata dall’irrompere del Covid-19. Nello specifico, il dato è calato di più di due punti percentuali in cinque Paesi: Kazakistan e Mongolia (entrambi -2,6 punti percentuali) e per le isole del Pacifico Vanuatu (-2,8 punti), Fiji (-5,7) e Cook (-8,3 punti percentuali). Non a caso tutti e tre gli Stati insulari, specifica il report, basano le loro economie sul turismo e hanno quindi particolarmente subito l’effetto delle restrizioni sui viaggi adottate su scala globale per contenere i contagi. Controcorrente sette economie che hanno visto un aumento della pressione fiscale tra 2019 e 2020: sotto a un punto percentuale per Corea del Sud, Nuova Zelanda, Maldive, Pakistan, Samoa e di 1,2 e 1,5 punti percentuali rispettivamente in Bangladesh e Tokelau.
Il report dà anche conto delle diverse componenti delle entrate fiscali, dirette e indirette. Per esempio, riguardo alle sole entrate da imposte sui beni e servizi (la fonte principale di entrate, tra imposta sul valore aggiunto e altre tipologie di imposte per i Paesi dell’area, analogamente ad altri quadranti del mondo, come Africa e America latina e caraibica) si è verificato un calo nel rapporto entrate su Pil di circa un punto percentuale (dal 10% al 9%) e in generale tra 2019 e 2020 è calato in 19 paesi dell’Asia-pacifico .
Come si cambia in un decennio
Come è bene ricordare ogni volta che si parla di un rapporto tra due valori, per interpretare correttamente i dati occorre andare a guardare sia l’andamento del numeratore (le entrate) che quello del denominatore) Pil. Fatta questa premessa, i dati evidenziano che in 15 Paesi il primo anno della pandemia ha ulteriormente prolungato quello che il report definisce un “declino di lungo termine” nella raccolta delle entrate rispetto al Pil, con la conferma di una discesa del rapporto nell’arco del decennio 2010-2020. Per esempio è così per il Vietnam (passato dal 25,3% al 22,7%), la Thailandia (dal 17,6% al 16,5%), il Kazakistan (dal 23,8% al 14,1%). Ma dal confronto 2010-2020 emergono anche situazioni di senso opposto, tra cui spiccano i quasi 13 punti percentuali acquisiti dalla Cambogia passata dal 7,3% del 2010 a 20,2% delle entrate su Pil del 2020 nonostante il calo riscontrato tra 2019 e 2020, o ancora le Maldive, passate da 8,9% del 2010 al 19,1% del 2020.
fonte fiscooggi.it