Legittimo l’accertamento effettuato dall’Agenzia delle entrate del maggior valore commerciale dell’immobile compravenduto – con conseguente rettifica dell’imposta di registro – basato anche su elementi diversi dalla valutazione comparativa e dal reddito, come, ad esempio, la destinazione, la collocazione, la conservazione e l’epoca di costruzione del bene. In sintesi sono questo il principio stabilito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 21378 del 6 luglio 2022.
La pronuncia in commento giunge a conclusione di un iter processuale azionato dall’ufficio avverso una sentenza della Ctr della Sardegna con la quale era stato accolto l’appello di una società a responsabilità limitata di opposizione al decisum di primo grado che, per converso, aveva rigettato il ricorso avverso un avviso di rettifica e liquidazione emesso in relazione a due contratti di compravendita registrati il 18 marzo 2013 e il 26 settembre 2013, e intercorsi tra una Spa (venditrice) e la Srl.
In sintesi, i giudici di secondo grado hanno accolto l’appello di parte ritenendo l’avviso di liquidazione insufficiente da un punto di vista motivazionale in quanto esso “con l’unico riferimento al valore minimale attribuito all’atto, se confrontato con i valori di vendita di aree contigue non cantierabili, senza ulteriori riferimenti e soprattutto senza che l’ufficio abbia fornito adeguate motivazioni alle sottolineature della parte che ha rimarcato come oggetto della vendita fosse un chiosco con annessi tre campi da tennis e non una villa (come poi avvenuto in sede di rivendita per mutamento di destinazione d’uso richiesta e ottenuta dalla parte); beni che perciò non potevano avere un valore tanto grande da superare addirittura il prezzo di rivendita, il che rappresenta indubbiamente una incongruenza di base, cui l’ufficio ha omesso di replicare”.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato in Cassazione la pronuncia della Ctr sulla base di tre motivi di doglianza. In particolare, la difesa erariale ha evidenziato:
- un vizio di motivazione apparente della sentenza di merito
- un’errata valutazione del protocollo d’intesa intercorso tra la Spa (venditrice) e la Srl (atto privo di data certa non opponibile a essa esponente in assenza di certezza sul timbro postale apposto)
- infine, si era verificata, da parte dei giudici di merito, una stima distorta circa l’identità oggettiva dei beni la quale interessava (anche) il chiosco, e posto che, – come emerso in distinti giudizi, – il relativo acquirente non aveva potuto usufruire della regola del “prezzo valore” (in correlazione alla rendita catastale) – violazione del combinato disposto di cui agli articoli 51 e 52 del DPR n.131 del 1986 –.
I giudici di cassazione hanno emesso l’ordinanza in commento accogliendo la seconda e la terza eccezione erariale – rinviando ad altra sezione della Ctr Sardegna – sul presupposto iniziale che, come più volte ribadito dalla Corte con costante indirizzo interpretativo, le disposizioni di cui all’articolo 51, comma 3, del Dpr n. 131/1986, evidenziano un triplice ordine di presupposti legittimanti l’accertamento del maggior valore di commercio del bene immobile oggetto di tassazione; l’avviso di rettifica del valore dichiarato, ai fini dell’imposta di registro, può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su “altri elementi di valutazione”, tra i quali rientra:
- una stima operata dall’Agenzia del territorio (Cassazione, pronunce n. 1961/2018 e n. 2951/2006);
- il riferimento al criterio tabellare della rendita catastale aggiornata e rivalutata (Cassazione, n. 29143/2018) ovvero alla destinazione, alla collocazione, alla tipologia, alla superficie, allo stato di conservazione, all’epoca di costruzione dell’immobile oggetto di valutazione (vedi, ex plurimis, Cassazione, nn. 23217/2019, 4221/2006, 13817/2003 e 3419/2001), e purché detti ulteriori elementi di valutazione “non siano elencati in modo meramente generico e di stile, onde consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa” (Cassazione, n. 18103/2021).
Nel caso di specie, pertanto, l’ufficio ha fatto buon governo delle norme poste a presidio dell’accertamento in rettifica oggetto di originaria impugnazione sul presupposto che la gravata sentenza della Ctr Sardegna ha erroneamente identificato la precisione motivazionale dell’atto impugnato con riferimento “al valore minimale attribuito all’atto, se confrontato con i valori di vendita di aree contigue non cantierabili”, – quando, com’è evidente, detto riferimento avrebbe dovuto riguardare (solo) il valore dell’area urbana-parco/giardino, pari a mq. 4158 (di cui al subalterno 12), – e, al contempo, ha ascritto all’applicazione degli “indici OMI (cfr. provvedimento del Direttore dell’Agenzia)” il “riferimento ad abitazioni relative ai coefficienti di adeguamento della categoria catastale individuata come villa”, quando, ancora una volta, il ricorso ai valori Omi riguardava la detta area di soli mq. 4158.
fonte fiscooggi.it