Con la risposta n. 334 del 21 giugno 2022, l’Agenzia chiarisce che la normativa relativa alle start-up innovative preclude la distribuzione di utili anche nell’ipotesi di ricorso a contratti di associazione in partecipazione. Il divieto di distribuzione di utili è, infatti, finalizzato a favorire l’investimento degli stessi per la crescita della start-up innovativa: in caso contrario, verrebbe meno il comportamento virtuoso che la norma agevolativa intende premiare.
Una Srl, che ha per oggetto la progettazione, lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico, rappresenta di essere iscritta dal 2020 nel registro delle imprese come “start-up innovativa”, ai sensi del Dl n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221/2012. La società ha sviluppato un servizio innovativo che comporta per la start-up il sostenimento di ingenti costi di investimento.
La società è, pertanto, intenzionata a realizzare una partnership con investitori, sia persone fisiche che imprese, disposti ad accollarsi alcune spese, in cambio della partecipazione agli utili.
La partnership, in sostanza, assumerebbe la veste di associazione in partecipazione con apporto di capitali, a fronte del diritto spettante all’associato di partecipare agli utili derivanti dallo specifico affare.
L’istante evidenzia che, ai fini delle imposte dirette, l’utile attribuito all’associato persona fisica viene considerato reddito di capitale, mentre nel caso di associato imprenditore l’utile diventa un componente positivo del reddito di impresa (dividendo).
Dunque, a suo avviso, in campo fiscale l’associazione in partecipazione con apporto di capitale viene trattata alla stregua di un rapporto di natura partecipativa e l’erogazione dell’utile all’associato alla stregua della distribuzione di dividendo.
Pertanto, considerato che l’articolo 25, comma 2, lett. e) Dl n. 179/2012 prevede che le start-up, oltre ai requisiti elencati nello stesso comma, non debbano aver distribuito e non possano distribuire utili fino a quando sono iscritte nella sezione speciale della CCIAA, la società chiede se tale divieto risulti operante anche nel caso di attribuzione di utili all’associato che apporta capitale nell’ambito di un contratto di associazione in partecipazione sottoscritto con la start-up.
L’Agenzia premette che il Dl 179/2012, poi modificato dal Dl n. 135/2018 e dalla legge n. 145/2018, ha introdotto un quadro organico di disposizioni, riguardanti la nascita e lo sviluppo di imprese start-up innovative. L’articolo 25 del citato decreto legge stabilisce i requisiti necessari per assumere la qualifica di start-up innovativa, tra i quali, alla lettera e), è previsto che la start-up non distribuisca e non abbia distribuito utili.
Per quanto concerne il caso di specie, ai sensi dell’articolo 2549 cc, con il contratto di associazione in partecipazione, l’associante attribuisce ad un altro soggetto, l’associato, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto. La determinazione della natura e dell’oggetto dell’apporto è rimessa alla volontà delle parti e può consistere in una somma di denaro, nella cessione di beni mobili o immobili o nella prestazione di un’opera o di un servizio. Con l’apporto reso, l’associato ordinariamente partecipa al rischio dell’attività di impresa o dell’affare posto in essere dall’associante; l’articolo 2553 del codice civile stabilisce, infatti, che l’associato partecipa agli utili ed alle perdite, con il limite che le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto.
Il contratto di associazione in partecipazione assume, per l’associante, una funzione prettamente “finanziaria”, di reperimento dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività o per il compimento dell’affare, evitando il ricorso all’ordinario mercato finanziario, mentre per l’associato assume una funzione “associativa”, tesa a soddisfare l’interesse a partecipare ai vantaggi conseguenti al raggiungimento degli scopi prefissati attraverso l’attività o gli affari svolti, con i rischi di impresa che ne conseguono.
Ciò posto, ai fini d’interesse si rileva che, al di là dell’inquadramento giuridico della figura negoziale in esame, assume valenza dirimente la circostanza che il legislatore fiscale abbia equiparato il trattamento fiscale della remunerazione corrisposta in relazione ai contratti di associazione in partecipazione (allorché, come nel caso in esame, sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi) a quello della remunerazione dovuta in relazione a titoli e strumenti finanziari comunque denominati, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società.
Ebbene, ai sensi dell’articolo 109, comma 9 Tuir, entrambi i tipi di remunerazione risultano indeducibili per il soggetto emittente/associante e, in base all’articolo 44, comma 1, rispettivamente lettere e) e f) Tuir, sia gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società, sia gli utili derivanti da associazioni in partecipazione sono per il percettore da considerarsi redditi di capitale (eccetto il caso in cui l’apporto dell’associato sia costituito da solo lavoro).
Il trattamento fiscale è, dunque, sia per l’associato che per l’associante, equivalente a quello di una partecipazione ad una società di capitali: la distribuzione dell’utile non è deducibile in capo all’associante, mentre il regime di imposizione fiscale, in capo all’associato varia a seconda che si tratti di un soggetto Ires, di un soggetto Irpef imprenditore o di un soggetto Irpef privato, secondo le rispettive regole previste per le diverse categorie di percettori.
In definitiva, conclude l’Agenzia, tenuto conto del relativo regime di tassazione, ove la start-up innovativa procedesse a corrispondere utili all’associato in partecipazione perderebbe i requisiti previsti dall’articolo 25, comma 2 Dl n. 179/2012, che alla lettera e) dispone che la start-up non distribuisce, e non ha distribuito, utili.
Tale conclusione è peraltro avvalorata dall’essere il divieto di distribuzione di utili finalizzato a favorire l’investimento degli stessi per la crescita della start-up innovativa; ove si procedesse a remunerare l’associato in partecipazione con tali utili verrebbe meno il comportamento virtuoso che la norma agevolativa intende premiare con le corrispondenti agevolazioni fiscali.
Alla luce di quanto sopra rappresentato, la normativa relativa alle start-up innovative preclude la distribuzione di utili anche nell’ipotesi di ricorso a contratti di associazione in partecipazione.
fonte fiscooggi.it