Le somme liquidate in via equitativa dal Tribunale, per risarcire la lesione della capacità professionale del lavoratore, sono da considerarsi non imponibili, in quanto configurabili come danno emergente e, quindi, non assoggettabili a ritenuta alla fonte. Con la risposta n. 185 dell’8 aprile 2022, l’Agenzia indica, alla società datrice di lavoro, che l’ha erroneamente operata, la via per recuperarla.
In sintesi, nel 2020 l’istante ha corrisposto in due tranche, a titolo di risarcimento per demansionamento, a favore di un ex dipendente, l’intera somma quantificata da una sentenza del Tribunale adito dallo stesso lavoratore.
In un primo momento, ha erogato l’importo al netto della ritenuta alla fonte (articolo 23, Dpr n. 600/1973), poi, su sollecito ufficiale dell’ex dipendente, che ha reclamato la non imponibilità della somma in questione, ha versato allo stesso la differenza tra quanto liquidato con la sentenza e quanto effettivamente ricevuto. Tutto ciò, per non proseguire il contenzioso con il lavoratore.
Ora, avendo già ha riversato all’Erario la ritenuta operata, la società vuole capire se l’importo in argomento sia volto a reintegrare il danno emergente e, pertanto, sia privo di rilevanza reddituale e impropriamente assoggettato a ritenuta o, diversamente, sia diretto a reintegrare il lucro cessante, con piena rilevanza reddituale e, quindi, correttamente assoggettato a ritenuta.
Nel caso fosse privo di rilevanza reddituale, chiede inoltre quali siano le modalità per recuperare la ritenuta versata, ipotizzando di poterlo fare in sede di presentazione del modello 770/2021 integrativo, relativo all’anno di imposta 2020.
L’Agenzia innanzitutto ricorda di aver più volte precisato, nei suoi documenti di prassi, quali sono le tipologie di indennizzi che rientrano nell’articolo 6, comma 2, del Tuir, chiarendo che sono imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le percepisce, mentre, non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate per reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (danno emergente) (cfr. risoluzioni nn. 155/2002, 356/2007, 106/2009 e 16/2018).
Sull’argomento, inoltre, richiama numerose sentenze della Cassazione, tra le quali la pronuncia n, 6572/2006 delle sezioni unite, dove la suprema Corte, nel ribadire che la perdita di chance professionali, quale elemento di danno emergente non rilevante ai fini fiscali, ha puntualmente chiarito che il risarcimento “non può essere riconosciuto, in concreto, se non in presenza di adeguata allegazione, ad esempio deducendo l’esercizio di una attività (di qualunque tipo) soggetta ad una continua evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all’esperienza professionale destinati a venire meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo.
Nella stessa logica anche della perdita di chance, ovvero delle ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno, va data prova in concreto, indicando, nella specifica fattispecie, quali aspettative, che sarebbero state conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto, siano state frustrate dal demansionamento o dalla forzata inattività. In mancanza di detti elementi, da allegare necessariamente ad opera dell’interessato, sarebbe difficile individuare un danno alla professionalità, perché – fermo l’inadempimento – l’interesse del lavoratore può ben esaurirsi, senza effetti pregiudizievoli, nella corresponsione del trattamento retributivo quale controprestazione dell’impegno assunto di svolgere l’attività che gli viene richiesta dal datore”.
Nel caso in esame, nella sentenza di condanna dell’istante al pagamento delle somme all’ex dipendente, il giudice ha evidenziato come dall’istruttoria orale emerge che sebbene nel 1987, da una precedente sentenza, era stato giudizialmente accertato che le mansioni di archivista erano inferiori rispetto a quelle professionalmente spettanti al ricorrente, esse sono state mantenute dalla società datrice per tutto il resto del rapporto di lavoro, circostanza sostanzialmente riconosciuta dalla stessa società istante; ciò, ad avviso del giudice, ha rappresentato indubbiamente una lesione della capacità professionale del lavoratore. Tale sentenza, quindi, evidenzia come il lavoratore abbia adempiuto all’onere di allegazione circa il danno alla professionalità, mentre la quantificazione del danno è stata determinata dal giudice in via equitativa (articolo 1226 cc), prendendo come criterio di riferimento la liquidazione contenuta nella precedente sentenza del 1987, applicando i dovuti incrementi, considerando la lesione alla professionalità per tutto il rapporto di lavoro.
Tanto premesso, l’Agenzia conclude, che le somme liquidate in via equitativa dal Tribunale, in seguito alla lesione della capacità professionale del lavoratore, sono da considerarsi non imponibili, in quanto configurabili come danno emergente e, quindi, volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio. Di conseguenza, non sono assoggettabili a ritenuta alla fonte.
Pertanto, avendo la società istante già restituito la ritenuta all’ex dipendente, potrà recuperare tale importo presentando la dichiarazione integrativa del modello 770/2021 relativo all’anno di imposta 2020.
A questo proposito, fornisce indicazioni sulla corretta compilazione del modello. In pratica, nel frontespizio dovrà essere inserito il protocollo della dichiarazione che si intende rettificare e nel quadro ST andrà indicato il versamento effettuato erroneamente, riportando nella seconda colonna “Ritenute operate” l’importo 0. Nel quadro SX potrà, quindi, essere fatto valere il credito inserendo la somma versata erroneamente nel rigo SX1 colonna 2 “Versamenti in eccesso” e cumulata nel rigo SX4 colonna 4 “Credito risultante dalla presente dichiarazione”, indicando, poi, in colonna 5, quanto di essa è già stato utilizzato in compensazione.
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