La Cina abbandona lo slogan maoista sulla ‘prosperità comune’, lanciato nell’agosto scorso da Xi Jinping e fondato sulla lotta all’arricchimento, per puntellare una traballante crescita economica. Nel marzo scorso Pechino ha ribassato le stime di crescita per quest’anno, portandole dal +6% al 5,5%.
La perdita di slancio dell’economia cinese è legata a diversi fattori: la crisi immobiliare, l’aumento delle spese per la Difesa, salite del 7%, i lockdown per frenare l’aumento dei contagi di Covid, le interruzioni delle catene di approvvigionamento, le carestie che hanno ridotto del 20% i raccolti di grano.
La Cina non ha i livelli di inflazione delle economie occidentali ma teme l’inflazione importata, e per frenarla punta su uno yuan forte. Il programma sulla ‘prosperità comune’, volto a redistribuire la ricchezza nel Paese, era un po’ il ‘fiore all’occhiello’ della presidenza Xi, ma la sua cancellazione dimostra come sia difficile ridurre le diseguaglianze in Cina, in mancanza dell’abituale crescita a due cifre del Pil.
Lo slogan, nota il Wall Street Wall Journal, quest’anno è ricomparso solo una volta nel lungo rapporto sul lavoro, consegnato dal premier Li Kequiang a marzo. Nella provincia di Zhejiang, che era stata designata come il principale banco di prova per il programma, i nuovi piani economici praticamente non menzionano più le politiche redistributive, avviate per mettere più soldi nelle tasche delle famiglie cinesi meno abbienti.
Pechino ha accantonato la nuova tassa sulla proprietà che avrebbe dovuto finanziare i programmi di assistenza sociale. Il ministero delle Finanze ha detto solo che il piano era “troppo acerbo”, tagliando corto sulle spiegazioni.
Il sistema fiscale cinese è rimasto praticamente invariato, con il grosso delle tasse che continua a gravare sui lavoratori a basso reddito e gli aumenti delle aliquote fiscali delle classi più facoltose, semplimente rinviati. In Cina le imposte sui redditi individuali restano all’1,2% del Pil, contro il 10% degli Usa, mentre la percentuale di previdenza resta al 6,5% del Pil, contro il 9% della media Ocse.
L’espressione ‘prosperità comune’ è stata usata più volte da Mao e Deng Xiaoping per descrivere gli ideali socialisti di riduzione della disuguaglianza. Xi l’ha riesumata nel 2021, denunciando il fatto che il 10% delle persone più ricche in Cina possiede il 68% della ricchezza totale delle famiglie. Nel gennaio scorso Xi ha ribadito che la realizzazione di una ‘comune prosperità’ non poteva aspettare.
Con l’economia cinese in forte ripresa dopo la prima ondata di Covid-19, i politici hanno accelerato quei cambiamenti con i quali speravano di soddisfare gli obiettivi del leader.
In primo luogo con la repressione delle industrie, considerate troppo redditizie o troppo rischiose dal punto di vista finanziario, a partire dal quelle che operavano su Internet. Poi introducendo regolamenti più severi per gli sviluppatori di proprietà, che hanno contribuito a innescare il crollo immobiliare. Inoltre avviando la repressione delle aziende tecnologiche e chiudendo le società di tutoraggio, accusate di promuovere la corruzione e le diseguaglianze tra i giovani e di favorire gli investimenti stranieri a scopo di lucro.
Poi però, la crescita cinese ha cominciato a rallentare più del previsto, è cresciuto il timore di fughe di capitali, è iniziata la guerra in Ucraina e il programma di ‘prosperità comune’ è finito nel dimenticatoio. Secondo alcuni economisti la Cina potrebbe rilanciarlo dopo il congresso del partito di questo autunno, se la crescita rimbalzerà fortemente. Tuttavia non è chiaro quali siano i programmi di Xi in proposito.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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