Le prestazioni una tantum remunerate con pagamenti rateizzati non sono riconducibili a prestazioni soggette a pagamenti successivi. Inoltre, in presenza di un accordo di rateizzazione, il mancato versamento di una quota prima della scadenza dell’esigibilità del compenso non può essere considerato un non pagamento del prezzo e quindi non comporta la riduzione dell’imponibile. È quanto precisa Corte di giustizia europea
La vicenda e le questioni pregiudiziali
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 64, paragrafo 1, e dell’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva nell’ambito di una controversia che oppone l’amministrazione finanziaria tedesca a una società, in relazione all’esigibilità dell’Iva dovuta per una prestazione di servizi che comporta un pagamento in più rate.
Le rate scadevano con cadenza annuale e la prima doveva essere corrisposta il 30 giugno 2013. Al momento di ogni scadenza la società ha emesso una fattura per l’importo dovuto, ha proceduto al suo incasso e ha versato l’Iva corrispondente.
A seguito di una verifica fiscale, l’amministrazione finanziaria ha constatato che la prestazione di servizi era stata effettuata nel corso del 2012 e che, pertanto, la società avrebbe dovuto versare, per lo stesso anno, l’imposta sulla somma totale dei compensi.
La questione è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue alcune questioni.
Le valutazioni della Corte UE
La prima questione
Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 64, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 debba essere interpretato nel senso che una prestazione di servizi resa una tantum, remunerata mediante pagamenti rateizzati, rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione.
L’articolo 64, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato alla luce dell’articolo 63 della stessa direttiva, dal momento che la prima disposizione è intrinsecamente connessa alla seconda.
Da un lato, secondo l’articolo 63, il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi. Dall’altro lato, ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 1, qualora le prestazioni di servizi comportino, in particolare, pagamenti successivi, si considerano effettuate, ai sensi del suddetto articolo 63, al momento della scadenza dei periodi cui si riferiscono tali pagamenti.
Dall’applicazione di queste due disposizioni risulta che, per le prestazioni che comportano pagamenti successivi, il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diviene esigibile al momento della scadenza dei periodi cui si riferiscono tali pagamenti.
Per quanto riguarda l’interpretazione dei termini “prestazione che comporta pagamenti successivi”, essi potrebbero essere intesi o nel senso che includono prestazioni rese una tantum il cui compenso convenuto è corrisposto in più rate, o nel senso che esse riguardano solo le prestazioni la cui stessa natura giustifica un pagamento rateizzato, ossia quelle rese non una sola volta, ma in modo ricorrente o continuativo, per un determinato periodo.
Quest’ultima interpretazione è rafforzata dal tenore letterale e dall’oggetto dell’articolo 64, paragrafo 1, della direttiva 2006/112. Infatti, in base a tale disposizione, il momento dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria è determinato in funzione della scadenza dei periodi cui si riferiscono i pagamenti successivi.
Dato che tali versamenti costituiscono necessariamente il corrispettivo delle prestazioni effettuate, ne deriva che la norma in esame esige implicitamente che esse siano state realizzate nel corso dei periodi considerati. In tali circostanze, la disposizione non può essere condizionata unicamente dalla modalità rateizzata del pagamento della prestazione.
Di conseguenza, l’applicazione dell’articolo 64, paragrafo 1, presuppone un nesso tra la natura delle prestazioni in parola e la rateizzazione dei pagamenti, cosicché tale disposizione non può riguardare una prestazione resa una tantum neppure nell’ipotesi in cui dovesse essere remunerata mediante pagamenti rateali.
Tale interpretazione letterale dell’articolo 64, paragrafo 1, è confermata dal suo obiettivo nonché dall’impianto sistematico della direttiva.
Al riguardo, l’articolo 64, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 63, mira a facilitare la riscossione dell’Iva e, in particolare, la determinazione del momento in cui sorge l’obbligazione tributaria.
Infatti, al fine di determinare quando avviene il fatto generatore dell’imposta e di conseguenza l’imposta diventa esigibile, l’articolo 63 richiede che sia accertato il momento dell’effettiva esecuzione di una prestazione.
L’articolo non specifica quale fatto debba essere considerato come il momento in cui è effettuata la prestazione, di modo che spetta alle autorità e ai giudici nazionali competenti verificare il momento della sua effettiva esecuzione.
Per contro, in forza dell’articolo 64, paragrafo 1, il sorgere dell’imposta e la sua esigibilità sono collegati alla scadenza dei periodi cui si riferiscono i pagamenti per le prestazioni effettuate. Quest’ultima disposizione contiene, quindi, una norma giuridica che consente di determinare con precisione il momento dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria mediante una fictio giuridica, il che evita di dover procedere agli accertamenti di fatto necessari alla determinazione del momento dell’effettiva esecuzione di una prestazione.
Più in particolare, come già constatato dalla Corte, nel caso in cui si applichi questa norma, è sufficiente che i periodi di prestazione dei servizi ai quali si riferiscono i pagamenti successivi siano menzionati nelle fatture affinché il soggetto passivo soddisfi i requisiti derivanti dall’articolo 226, punto 7, della stessa direttiva, in forza del quale nella fattura deve essere indicata la data in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi.
Tuttavia, il ricorso all’articolo 64, paragrafo 1, quale norma giuridica volta a determinare il momento dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria si impone solo a condizione che il momento o i momenti di esecuzione effettiva delle prestazioni non siano univoci e possano dar luogo a valutazioni diverse, come avviene nel caso di prestazioni che, a causa del loro carattere continuativo o ricorrente, siano effettuate nel corso di uno o più periodi determinati.
Per contro, nel caso in cui il momento dell’esecuzione della prestazione possa essere determinato agevolmente, in particolare quando si tratta di una prestazione una tantum ed è possibile stabilire in modo preciso il momento in cui la sua esecuzione è terminata in base al rapporto contrattuale tra le parti, l’articolo 64, paragrafo 1, non può essere applicato senza violare il chiaro tenore dell’articolo 63 della medesima.
Inoltre, in coerenza con tale ultima disposizione, l’insorgenza dell’Iva e la sua esigibilità non sono questioni che le parti di un contratto sono libere di determinare. Al contrario, il legislatore comunitario ha inteso armonizzare al massimo in tutti gli Stati membri la data in cui sorge il debito d’imposta al fine di garantirne un prelievo uniforme.
Sarebbe, quindi, contrario all’articolo 63 della direttiva 2006/112 consentire a un soggetto passivo, che ha fornito una prestazione una tantum pur avendo concluso un accordo di rateizzazione dei pagamenti ai fini della remunerazione di tale prestazione, optare per l’applicazione dell’articolo 64, e determinare così lui stesso il momento dell’insorgenza e dell’esigibilità dell’Iva.
Una tale interpretazione dell’articolo 64 sarebbe, altresì, difficilmente coerente con l’articolo 66, lettere a) e b), della stessa direttiva. Infatti, in forza di tale disposizione, in deroga agli articoli da 63 a 65, gli Stati membri possono stabilire che, per alcune operazioni o per alcune categorie di soggetti passivi, l’imposta diventa esigibile non oltre il momento dell’emissione della fattura o dell’incasso del prezzo. Orbene, l’articolo 66, lettere a) e b), della direttiva 2006/112 sarebbe in gran parte svuotato di contenuto se i soggetti passivi potessero, in funzione delle modalità di remunerazione contrattualmente previste, determinare loro stessi, in luogo degli Stati membri, il momento dell’insorgenza e dell’esigibilità dell’Iva.
Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte non si può dedurre che l’articolo 64, paragrafo 1, possa applicarsi anche in presenza di prestazioni rese una tantum. Infatti, le controversie in cui la Corte ha ammesso l’applicabilità di tale disposizione riguardavano prestazioni di servizi forniti nel corso di un periodo specifico sulla base di rapporti contrattuali che stabilivano obblighi continuativi (come ad esempio nelle ipotesi della locazione di un autoveicolo, della fornitura di servizi di consulenza, in particolare di tipo legale, commerciale e finanziario, o ancora della collocazione e del mantenimento di un calciatore in una società calcistica).
La Corte Ue rileva altresì che il ruolo dei soggetti passivi non si limita a quello della riscossione dell’Iva. Conformemente all’articolo 193 della direttiva 2006/112, è a loro carico, in linea di principio, l’obbligo di pagamento dell’imposta quando effettuano una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, senza che tale obbligo sia subordinato alla previa riscossione del corrispettivo o, quanto meno, dell’importo dell’imposta assolta a valle.
Infatti, in forza dell’articolo 63 l’Iva diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi, ossia al momento della realizzazione dell’operazione, indipendentemente dal fatto che il corrispettivo dovuto per tale operazione sia stato già versato o che non lo sia stato.
Pertanto, l’Iva è dovuta all’Erario dal fornitore di un bene o dal prestatore di servizi, quand’anche questi non abbia ancora ricevuto, da parte del suo cliente, il pagamento corrispondente all’operazione realizzata.
Ciò premesso, con riferimento alla prima questione, la Corte Ue osserva che l’articolo 64, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, deve essere interpretato nel senso che una prestazione di servizi resa una tantum, che comporta una remunerazione mediante pagamenti rateizzati, non rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione.
La seconda questione
Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, debba essere interpretato nel senso che, in presenza di un accordo di rateizzazione dei pagamenti, il mancato pagamento di una rata del compenso prima dell’esigibilità di quest’ultimo deve essere qualificato come non pagamento del prezzo, ai sensi di tale disposizione, e può, pertanto, dar luogo a una riduzione della base imponibile.
L’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 prevede la riduzione della base imponibile in caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione.
Sulla base di quanto previsto dalla giurisprudenza della Corte, tale disposizione, nelle ipotesi dalla stessa disciplinate, obbliga gli Stati membri a procedere alla riduzione della base imponibile e, quindi, dell’importo dell’Iva dovuta dal soggetto passivo laddove, successivamente alla conclusione di un’operazione, il corrispettivo non venga totalmente o parzialmente percepito dal soggetto passivo.
La norma in questione costituisce l’espressione di un principio fondamentale della direttiva 2006/112, secondo il quale la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto e il cui corollario consiste nel fatto che l’amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di Iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo.
Per quanto riguarda il mancato pagamento parziale o totale del corrispettivo, esso non può, contrariamente alla risoluzione o all’annullamento del contratto, rimettere le parti nella situazione in cui si trovavano prima della conclusione del contratto. Se il mancato pagamento si verifica senza che vi sia stata risoluzione o annullamento del contratto, l’acquirente del bene o il destinatario del servizio resta debitore del prezzo concordato e il venditore del bene o il fornitore del servizio dispone sempre, in linea di principio, del proprio credito, che può far valere in sede giurisdizionale. Non si può escludere, tuttavia, che un tale credito divenga di fatto definitivamente irrecuperabile, essendo il non pagamento caratterizzato dall’incertezza inerente al suo carattere non definitivo.
Pertanto, il non pagamento del corrispettivo, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, riguarda le sole situazioni in cui il beneficiario di una cessione di beni o di una prestazione di servizi non soddisfa, o soddisfa parzialmente, un credito di cui è purtuttavia debitore in forza di tale contratto concluso con il fornitore o il prestatore.
Sulla base di tale giurisprudenza, il pagamento rateizzato del compenso dovuto per una prestazione di servizi, previsto dal contratto stabilito dalle parti, non rientra nell’ipotesi del non pagamento del corrispettivo di cui all’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112.
Infatti, da un lato, tale modalità di pagamento non modifica l’importo del compenso che il soggetto passivo deve ricevere o che egli può, di fatto, recuperare. Ciò premesso, la base imponibile resta invariata e l’amministrazione tributaria non percepisce, a titolo di Iva, un importo superiore a quello corrispondente al compenso del soggetto passivo. Dall’altro lato, dal momento che, una rata di compensi professionali non è esigibile prima della sua data di scadenza, una situazione del genere non può essere assimilata a quella in cui il beneficiario della prestazione soddisfa solo parzialmente il credito di cui è debitore.
Peraltro, ai fini dell’interpretazione dell’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, la circostanza che, in alcune ipotesi, un soggetto passivo possa essere costretto ad anticipare l’Iva che deve versare all’amministrazione tributaria è priva di rilevanza.
Ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che l’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che, in presenza di un accordo di rateizzazione, il mancato pagamento di una rata del compenso prima della sua scadenza non può essere considerato un non pagamento del prezzo, ai sensi di tale disposizione, e non può, pertanto, dar luogo a una riduzione della base imponibile.
Data della sentenza: 28 ottobre 2021
Numero della causa: C-324/2020
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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