La Corte di cassazione, con la sentenza n. 23389 del 26 luglio, ha precisato che “In caso di indagini bancarie ex art. 32 del DPR 600/73, al pari dell’art. 51 del DPR 633/72, le operazioni che non trovano riscontro nella contabilità si presumono espressione di ricavi o compensi non dichiarati. A fronte di ciò, il contribuente deve dimostrare che, con riferimento ad ogni singola movimentazione, le operazioni non sono riconducibili ad evasione”.
La decisione prende spunto da un ricorso per Cassazione, proposto da due soci di una cessata “Alfa a.r.l. Onlus”, avverso una sentenza della Ctr delle Marche di accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate con oggetto un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2003.
In particolare, i giudici marchigiani ritenevano legittimo l’atto impositivo in quanto:
- l’ufficio ha effettuato “una valutazione delle movimentazioni bancarie aggiornata e coerente con le giustificazioni in itinere fornite dal contribuente; che peraltro è onerato dalla prova liberatoria essendo rimessa al medesimo […] l’analisi delle singole operazioni al fine di vincere la presunzione in tema di indagini bancarie”
- “in presenza di omissioni conclamate e di una costruzione del reddito d’impresa (ricavi) che, selezionate le operazioni e non computate quelle non costituenti materie imponibili, ha correttamente applicato la presunzione legale in ordine alle residue movimentazioni bancarie sui conti correnti personali, stante la situazione di commistione, in tali conti, delle operazioni riferibili alla società ed alla persona del rappresentante legale, e la mancata giustificazione (risultando prodotti meri prospetti riepilogativi e fotocopie di assegni per lo più intestati “a me medesimo” o accompagnate dalla generica indicazione di un beneficiario di prestazione di dubbia provenienza)”.
I contribuenti hanno censurato la predetta pronuncia di merito sulla base di cinque motivi di impugnazione, in fatto e in diritto.
I giudici di piazza Cavour, con la sentenza in argomento, hanno ritenuto infondati e inammissibili le doglianze così proposte rigettando il ricorso nel merito e condannando le parti al pagamento delle spese di giudizio.
Superando le eccezioni di rito in termini sia di inesistente violazione, nel caso di specie, dell’obbligo di preventivo contraddittorio endoprocedimentale in ambito di indagini “a tavolino”, ovvero di indagini che non comportino l’accesso nei locali dell’impresa o negli studi professionali del contribuente (Cassazione, sezioni unite, n. 24823/2015) sia di insussistenza di ipotesi di anomalia motivazionale, che si converte in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cassazione, sezioni unite, nn. 8053/2014 e 8054/2014), i giudici di cassazione, dopo aver evidenziato che l’accertamento fiscale a carico della società muoveva da due processi verbali di constatazione e che il secondo verbale di constatazione proveniva da indagini bancarie sui rapporti di conto correnti intrattenuti dalla società e dai due soci, hanno confermato la legittimità della pretesa fiscale non avendo gli stessi fornito la prova liberatoria a giustificazione delle singole operazioni bancarie oggetto di accertamento.
Passando all’esame del merito della vicenda impositiva, la Cassazione richiama i principi pacifici in tema di accertamenti bancari, e del regime probatorio che ne deriva, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili” (cfr ex multis, Cassazione, sezione 5, pronunce nn., n. 18081/2010, n. 15857/2016 e n. 24422/2018).
Nella vicenda in commento, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal citato articolo 32 del Dpr n. 600/1973, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente (come accade per il prospetto riepilogativo prodotto in giudizio dalle parti) ancorché nella qualità di socio o di legale rappresentante di una società, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni compiute, ovvero dell’estraneità delle stesse all’attività sociale.
Nel caso in esame, risulta incontestato che una dei due soci avesse rivestito più cariche all’interno della cooperativa essendone socia, presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante, come pure è incontestato che la stessa contribuente avesse reso dichiarazioni alla Guardia di finanza circa il fatto che le operazioni riferibili al suo conto riguardassero anche quelle della cooperativa sociale.
fonte fiscooggi.it