Se l’accertamento è fondato, non soltanto sugli studi di settore, ma anche su elementi contabili incongrui e in contrasto con le leggi economiche, non è necessaria e/o obbligatoria l’attivazione del contraddittorio preventivo. Lo afferma, tra l’altro, la Cassazione, con l’ordinanza n. 6089 dello scorso 24 febbraio.
La suprema Corte è stata investita del giudizio di legittimità, in seguito a due ricorsi presentati da una società e dai soci della stessa, avverso due sentenze emesse dalla Ctr della Campania:
– con la prima, la n. 200/39/2013, era stato accolto, nel merito, l’appello dell’ufficio contro la pronuncia di primo grado della Ctp di Napoli, che aveva ritenuto fondati i ricorsi proposti dalla società e dai singoli avverso i rispettivi avvisi di accertamento, emessi per l’anno d’imposta 2006 in rettifica del reddito sociale dichiarato e dei conseguenti redditi di partecipazione;
– con la seconda, la n. 411/17/2015, era stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dalla stessa società e dai soci avverso la citata sentenza n. 200/39/2013 della medesima Ctr.
I togati di legittimità, in seguito alla proposizione dei due ricorsi, li hanno previamente riuniti in applicazione analogica dell’articolo 395 cpc, nonostante si fosse trattato di due gravami relativi a differenti provvedimenti (cfr Cassazione, sentenze nn. 16435/2016 e 6878/2009). In via preliminare, inoltre, la stessa Cassazione ha dichiarato non applicabile, al giudizio di revocazione, la normativa inerente la definizione agevolata delle liti fiscali pendenti (cfr Cassazione, sentenze nn. 13306/2016, 272/2014 e 13080/2012).
Nel merito del giudizio revocatorio, i supremi giudici hanno ritenuto infondata l’eccepita violazione, da parte della Ctr Campania, dell’articolo 395, n. 4) cpc, in quanto sarebbe stata ingiustificatamente dichiarata l’attivazione di un inesistente contraddittorio endoprocedimentale. Contraddittorio ritenuto obbligatorio dalla società contribuente.
Sul punto, la Cassazione, con l’ordinanza n.6089 in argomento, ha sostenuto la non applicabilità, al caso di specie, dell’errore di fatto previsto dal citato articolo 395 cpc, il quale presuppone una svista su elementi concreti che abbiano influito, in maniera decisiva, sulla corretta decisione da assumere (cfr Cassazione, sentenze nn. 23173/2016, 6038/2016 e 3935/2009 in tema di vizio revocatorio).
Nel caso in esame, come correttamente rilevato dalla Ctr e oltremodo non contestato dalla società, i rilievi contenuti negli atti impositivi impugnati traevano origine dalla rilevata sussistenza di “gravi incongruenze tra il giro d’affari contabilizzato e quello desumibile dalle condizioni di esercizio dell’attività attesa, in particolare, l’irrisorietà della percentuale di ricarico”.
Nel merito della contestazione sollevata nel giudizio di revocazione, la Corte suprema ha ritenuto non sussistente alcun obbligo, in capo all’ufficio, di attivazione del contraddittorio preventivo, in quanto l’accertamento emesso a carico della società non era basato esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore. Di conseguenza, alcuna violazione dell’articolo 10, della legge n.146/1998, poteva ravvisarsi nel caso in osservazione (cfr Cassazione, sentenza n. 31814/2019).
In linea generale, nell’ordinamento fiscale, l’instaurazione del contraddittorio prima dell’invio dell’accertamento deve essere qualificata quale eccezione che non può, pertanto, trovare applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti (cfr Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 24823/2015).
Nel caso concreto, il dato letterale che l’atto impugnato fosse “basato” sugli studi di settore non ha escluso, a priori, che le rettifiche operate dall’ufficio abbiano preso spunto, in maniera prevalente, da riscontrate incongruenze nella contabilità d’impresa, tali da far presumere, con i caratteri della gravità, precisione e concordanza, l’esistenza di attività sociali non dichiarate (cfr Cassazione, sentenza n. 15344/2019).
Pertanto, la procedura accertativa dell’amministrazione non è stata fondata esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore, ma ha ampliato il suo raggio d’azione fino a ricomprendere l’analisi circa l’antieconomicità della gestione d’impresa attraverso un esame di tipo analitico-induttivo.
In conclusione, l’accertamento era basato su elementi economici incongrui e in contrasto con le leggi economiche, elementi tali da non ritenere necessario e/o obbligatorio il contraddittorio preventivo. Inoltre, la ricorrente non aveva assolto all’onere della “prova di resistenza” in riferimento ai rilievi Iva e in ragione delle eccezioni che nel concreto avrebbe potuto esporre qualora fosse stato attivato, come eccepito, il contraddittorio tra le parti (cfr Cassazione, sentenza n. 24823/2015).
In definitiva, e richiamando il ricorso per cassazione attinente il merito della controversia, nonostante sussista il litisconsorzio tra società e soci, gli accertamenti notificati alla società ed ai soci mantengono la loro autonomia, essendo espressione di distinti procedimenti.
Pertanto, la definizione della lite eseguita dalla società o dai soci non esplica effetti nei confronti dei soggetti che non hanno definito, in riferimento ai quali l’ufficio mantiene intatto il potere di accertamento.
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