È inammissibile il ricorso firmato sulla carta, scansionato e inviato senza firma digitale, quale semplice allegato, a una Pec. È quanto stabilito dalla sentenza n. 1223/6/2021 del 5 ottobre 2021 della Ctr Emilia Romagna.
La direzione provinciale delle Entrate di Modena notificava a una società due distinti avvisi di accertamento per gli anni 2012 e 2013. La società proponeva due distinti ricorsi avverso i predetti avvisi, i quali venivano riuniti dalla Commissione di primo grado.
L’ufficio, oltre a difendersi nel merito, eccepiva l’inammissibilità dei ricorsi per violazione dell’articolo 18 del Dlgs 546/1992. Ciò, in quanto questi erano stati firmati in forma cartacea, scansionati e poi notificati all’ufficio quale semplice allegato a un messaggio Pec, non era quindi stata apposta la sottoscrizione digitale. Stessa carenza era stata rilevata anche per la copia del ricorso trasmessa in Commissione tributaria provinciale.
Con la sentenza n. 700/01/2019 del 12 dicembre 2019, la Ctp di Modena dichiarava inammissibili i ricorsi.
In particolare, i giudici di primo grado evidenziavano che “entrambi i ricorsi pervenuti via PEC non sono nel formato ‘…p7m’ ergo la firma in essi rinvenibile non è stata apposta con modalità digitale idonea a soddisfare il requisito di equiparazione alla firma cartacea prevista dall’art. 125 c.p.c. Secondo Cassazione 14338/2017 detta mancanza invalida l’atto introduttivo con riguardo alla sua riconducibilità a chi lo ha formato e spedito […]. Risulta così violato l’art. 18 del contenzioso, per l’errore previsto dall’ultimo periodo del comma quarto del detto articolo. L’errore è insanabile e comporta ex lege la inammissibilità del ricorso”.
Ovviamente insoddisfatta dell’esito del giudizio, la società proponeva appello avverso la sentenza di primo grado.
Nell’atto introduttivo dell’appello, oltre a discutere del merito, la società affermava che “come chiarito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 20906 del 2015, la mancata sottoscrizione della copia del ricorso, consegnata o spedita per PEC all’Amministrazione finanziaria ne comporta la mera irregolarità se l’originale, depositato nella segreteria della Commissione Tributaria, risulta regolarmente sottoscritto”.
L’ufficio, pur concordando con la lettura della sentenza 20906/2015, evidenziava però che la stessa non poteva applicarsi al caso concreto, in quanto “è stato ampiamente dimostrato che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC privo della sottoscrizione digitale e lo stesso dicasi della copia depositata in CTP […] pertanto, correttamente i giudici di primo grado hanno stabilito che i ricorsi sono inammissibili in quanto l’originale informatico dell’atto notificato a mezzo PEC è viziato da una carenza non sanabile di sottoscrizione digitale ”.
Con la sentenza in commento, la Ctr dell’Emilia Romagna ha rigettato l’appello di parte e confermato, quindi, la sentenza di primo grado. I giudici regionali hanno evidenziato, innanzitutto, che “la sottoscrizione digitale è ormai equiparata, in relazione agli effetti, alla sottoscrizione autografa ai sensi del D.Lgs n. 82/2005. A questo proposito va rilevato come l’art. 10 del Decreto del direttore generale delle Finanze del 4.8.2015 abbia espressamente disciplinato le forme che il ricorso introduttivo trasmesso telematicamente deve necessariamente rispettare per la sua ammissibilità […] Tale assenza di sottoscrizione non può essere sanata a posteriori dalla circostanza che la notificazione dei ricorsi sia stata effettuata a mezzo PEC atteso che tale modalità di trasmissione consente di attestare esclusivamente la provenienza dell’atto da un determinato mittente, ma non è in grado di sostituire un requisito di ammissibilità dello stesso (e cioè la sottoscrizione del ricorso). Sul punto infatti la giurisprudenza della Suprema Corte (vd. Cass. n. 14338/2017 e n. 20906/2015), nel precisare questo principio di diritto, ha stabilito come l’inammissibilità del ricorso non ricorre nel caso che la sottoscrizione del ricorso sia mancante soltanto nella copia notificata alla controparte ma sia invece presente in quella depositata presso la CTP”.
In relazione alla specifica controversia in esame, la sentenza ha concluso poi stabilendo che “va ricordato come anche i ricorsi depositati presso la CTP siano affetti dalla medesima patologia già rilevata in relazione alle copie notificate all’AE, ragione per cui è impossibile non ravvisare nel caso di specie, la mancanza della sottoscrizione dei ricorsi. Poste tali premesse discende la necessaria conseguenza dell’inammissibilità dei ricorsi presentati innanzi la CTP di Modena con conseguente conferma della sentenza di primo grado”.
I giudici regionali, inoltre, hanno stabilito la condanna della società al pagamento delle spese per il giudizio di secondo grado.
La sentenza in commento, che si caratterizza per una estrema linearità e chiarezza, ha quindi fissato degli importanti principi giuridici.
In primo luogo, ha stabilito che la sottoscrizione digitale produce gli stessi effetti di quella autografa. Inoltre, per individuare le caratteristiche informatiche del ricorso deve aversi riguardo all’articolo 10 del decreto del 4 agosto 2015, il quale prevede due diversi formati: uno per il ricorso (comma 1) e uno per gli allegati (comma 2).
Il ricorso deve pertanto essere:
– in formato pdf/A-1a o pdf/A-1b;
– privo di elementi attivi come macro e campi variabili
– redatto con l’utilizzo di appositi strumenti software (non è quindi possibile la copia per immagine di un documento analogico);
– sottoscritto con firma digitale (il documento sottoscritto digitalmente, in particolare, dovrà avere l’estensione “.pdf.p7m”).
Diversamente, gli allegati:
– possono essere documenti analogici scansionati;
– oltre ai formati previsti per il ricorso, possono essere anche in formato tiff, con risoluzione non superiore a 300 Dpi, in bianco e nero, ovvero a compressione Ccitt Group IV;
– devono essere sottoscritti con firma digitale.
Specifiche indicazioni sono, poi, dettate dal comma 3 dell’articolo 10, il quale prevede dimensioni massime di 10 Mb per ogni documento, con un massimo di 50 documenti per ciascun invio telematico.
La Commissione tributaria dell’Emilia Romagna ha infine stabilito, conformemente agli indirizzi della Corte di cassazione, che la mancata sottoscrizione del ricorso determina la sua inammissibilità. Inoltre, il fatto che il ricorso sia stato notificato a mezzo Pec non può sanare la mancata sottoscrizione, in quanto questa può attestare la provenienza del documento, ma non l’identità del firmatario.
Non vi è però inammissibilità se la sottoscrizione, pur mancando nella copia notificata alla controparte, è presente in quella depositata in Commissione tributaria.
Nel caso oggetto della sentenza in commento, la sottoscrizione digitale era invece assente sia sulla copia del ricorso notificata all’ufficio, sia su quella depositata in Commissione provinciale. I giudici regionali hanno quindi correttamente confermato la sentenza di primo grado, che aveva sancito l’inammissibilità del ricorso.
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