Le Convenzioni contro le doppie imposizioni sono accordi internazionali con i quali i Paesi contraenti regolano l’esercizio della propria potestà impositiva al fine di eliminare la duplice tassazione sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti.
In tali pattuizioni, gli Stati convengono e definiscono anche le disposizioni sulla cooperazione amministrativa finalizzate alla prevenzione e al contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale.
L’Italia, per disciplinare i propri accordi, fa riferimento al modello elaborato in sede Ocse, il quale viene periodicamente aggiornato, tuttavia, vi possono essere convenzioni sul modello predisposto dall’Onu.
La finalità di tali accordi è proprio quella di evitare la doppia imposizione, ovvero la doppia esenzione.
Affinché possano avere piena e integrale esecuzione in Italia, dette Convenzioni devono essere ratificate dal Parlamento con legge ordinaria ed entrano in vigore a seguito dello scambio degli strumenti di ratifica tra i Paesi contraenti, acquisendo il valore di fonte primaria.
Risulta opportuno ricordare che l’articolo 10, comma 1, della Costituzione prevede che l’ordinamento italiano debba adattarsi alle norme del diritto internazionale, mentre l’articolo 117 prevede l’obbligo di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali.
In caso di conflitto tra norme interne e norme pattizie, è un principio consolidato di diritto internazionale la supremazia delle convenzioni rispetto alla legislazione interna.
Rimanendo in ambito delle norme tributarie, secondo l’articolo 75 del Dpr n. 600/73 “nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia”, invece l’articolo 169 del Dpr n. 917/1986 chiarisce che se le norme interne sono più favorevoli al contribuente, si applicano le stesse anche in deroga agli accordi internazionali.
Per la dottrina nazionale e internazionale non ci sono dubbi sul fatto che tali trattati, siccome speciali, prevalgono sulla normativa nazionale.
Di stesso orientamento è la Corte suprema di cassazione, che si era già espressa, infatti, tramite la decisione n. 1138/2009, nella quale ha chiarito il principio generale per cui le Convenzioni per il carattere di specialità del loro ambito di formazione, così come le altre norme internazionali pattizie, prevalgono sulle corrispondenti norme nazionali.
Negli anni recenti è stato ribadito tale principio di supremazia della norma pattizia rispetto a quella di diritto interno, vedasi la sentenza n. 14476/2016 della Cassazione nella quale si legge: “non vi è alcun motivo né strumento logico e/o giuridico per ritenere che la previsione di una norma interna possa in qualche modo incidere sul chiaro disposto di una norma pattizia condizionandone la portata, con la conseguenza che la fattispecie deve essere regolata dalla norma convenzionale, gerarchicamente sovraordinata alla legge ordinaria interna”.
Tuttavia, è legittimo chiedersi se una norma interna antievasione o antielusione sia obbligatoriamente subordinata alle norme pattizie.
Una risposta a tale domanda si può ottenere leggendo il preambolo della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera, nel quale è sancito l’impegno alla più rigorosa applicazione di tutte le disposizioni intese a contrastare l’evasione e la frode fiscale previste dalla propria legislazione fiscale interna. Altresì, viene riconosciuta la necessità di assicurare che i vantaggi degli accordi pattizi siano riconosciuti esclusivamente ai contribuenti che adempiono ai loro obblighi fiscali e prevede l’adozione di provvedimenti per impedire l’uso non legittimo della convenzione.
Al riguardo, è rilevante il principio espresso dai giudici di piazza Cavour con la recentissima decisione n. 19722/2022, con cui viene evidenziato che le norme pattizie delle convenzioni contro le doppie imposizioni non sono in contrasto necessario con l’applicabilità di norme antievasione e antiabuso interne dei Paesi contraenti. Il caso analizzato dalla Cassazione si riferiva all’indeducibilità delle spese derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e imprese domiciliate fiscalmente in Stati non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati, come disciplinato dall’abrogato articolo 110, comma, 10 e 11 del Tuir, il quale non era in contrasto con l’articolo 25 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Svizzera, interpretato secondo il principio generale di buona fede di cui all’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati e in conformità al Commentario Ocse.
Per completezza di trattazione si ricorda che l’articolo 31 della Convenzione di Vienna contiene tre principi:
- ogni trattato deve essere interpretato secondo buona fede
- la presunzione per cui il significato che le parti hanno voluto attribuire a un determinato termine coincide con il significato ordinario dello stesso
- il significato ordinario deve essere ricercato all’interno del contesto del trattato e alla luce sia del suo scopo sia del suo oggetto.
In conclusione, una norma interna antievasione o antielusione non è obbligatoriamente subordinata al trattato.
fonte fiscooggi.it