L’obiettivo è la realizzazione di schermi 3D di prossima generazione per la realtà virtuale e aumentata, “che mostrino immagini vivide e realistiche”. Una sfida che riguarda “la nostra percezione fisica delle cose, il modo in cui i nostri occhi elaborano i segnali visivi e come questi vengono interpretati dal nostro cervello per costruire un modello del mondo”. Una sfida che passa per la realizzazione di uno schermo che copra un angolo del campo visivo molto più ampio rispetto ai display tradizionali e che assicuri una risoluzione a livello di retina nell’intero campo visivo. Per questo è necessario disporre di schermi in grado di approssimare la luminosità, la gamma dinamica del mondo fisico e una luminosità almeno dieci volte superiore a quella dei televisori HD di oggi.
Non solo. È necessario un tracking dei movimenti realistico a bassa latenza, che offra la sensazione, quando si gira la testa, di occupare la posizione corretta nel mondo immersivo in cui ci si trova. Inoltre, per garantire tutti i pixel necessari allo schermo, è necessario creare una un motore grafico, in grado di ottenere le migliori prestazioni dalle CPU e dalle GPU che possiamo inserire in un visore senza che questo si surriscaldi esaurendo rapidamente la batteria o generi un calore talmente elevato da non poter rimanere a contatto con il viso.
“Ed è infine necessario integrare tutto in un dispositivo che sia comodo da indossare”. Una sfida tecnologica colossale che passa per il superamento del test di Turing visivo, un modo per valutare se ciò che viene visualizzato in VR è distinguibile dal mondo reale. Un test al momento non superato.
Questi i temi sul tavolo di “Inside the Lab: Passing the Visual Turing Test”, incontro dedicato agli schermi per la Realtà Virtuale e Aumentata, organizzato da Meta. A parlarne è stato il CEO della compagnia Mark Zuckerberg. “Gli schermi in grado di riprodurre completamente l’ampiezza della visione umana – ha detto in apertura – ci permetteranno di raggiungere risultati davvero fondamentali. Il primo è un senso realistico della presenza, ovvero la sensazione di trovarsi con qualcuno o in un luogo come se fossimo davvero lì”.
Tutto questo perché? “Immaginate – ha detto – che si tratti di un membro della vostra famiglia che vive lontano o di qualcuno con cui collaborate a un progetto o persino un artista che amate. E immaginate come sarebbe avere la sensazione di trovarvi fisicamente insieme nello stesso ambiente. Questa è la presenza e questo è il significato che il termine ha per me”.
LE SFIDA DEL REALISMO VISIVO
Gli attuali sistemi VR sono già in grado di offrire la sensazione di trovarsi altrove. “Tuttavia, per quanto riguarda gli schermi e gli stack grafici abbiamo ancora molta strada da percorrere prima di arrivare al realismo visivo”. Il sistema visivo umano, infatti, è profondamente integrato e la visione di una semplice immagine realistica non è sufficiente. “Per ottenere la sensazione di immersività, occorre tutta una serie di altri indizi visivi. Si tratta di un problema ben più complesso che limitarsi a visualizzare un’immagine realistica sullo schermo di un computer o di una TV”. È necessario uno “schermo stereoscopico che crei immagini 3D”, riuscire a effettuare il rendering degli oggetti e concentrare lo sguardo su varie distanze: “attività diversa da quella richiesta dai display o dagli schermi tradizionali, con i quali è sufficiente mettere a fuoco su un’unica distanza, ovvero quella a cui si trova il telefono o il monitor”. Gli schermi per la Realtà Virtuale e Aumentata pongono problemi del tutto nuovi. Tra questi, il conflitto vergenza-accomodazione, l’aberrazione cromatica, la parallasse oculare, lo spostamento delle pupille.
Risoluzione retinica
I visori VR possiedono un campo visivo molto più ampio di quello dei monitor più grandi. Per quanti pixel siano disponibili, questi devono coprire un’area decisamente più vasta di quella di uno schermo 2D. Questo significa che in ogni area sono presenti meno pixel, con una conseguente riduzione del rapporto tra numero di pixel e risoluzione. “Secondo le nostre stime – ha spiegato Zuckerberg – per ottenere la visione perfetta del campo visivo umano sarebbe necessaria una risoluzione superiore agli 8K”. Zuckerberg ha parlato a proposito di “risoluzione retinica”, ovvero “circa 60 pixel per grado nello schermo: un valore molto superiore a quello attuale”.
Al momento il Display Systems Research di Meta ha sviluppato un “prototipo chiamato “Butterscotch”, dotato di una risoluzione sufficiente da garantire in VR una visione pari ai dieci decimi delle tabelle normalmente usate per le visite oculistiche”. Il prototipo, ha precisato Michael Abrash, chief scientist Reality Labs, “offre in VR una risoluzione quasi retinica, pari a 55 pixel per grado, che equivale a due volte e mezzo la risoluzione di Quest 2”, anche se, ammette il ricercatore, è un “prototipo è ben lontano dal poter essere commercializzato. È pesante e ingombrante, ma dimostra quanto una maggiore risoluzione possa influire sull’esperienza in VR. Devo ammettere che, dopo averlo indossato per la prima volta e aver scoperto il livello di nitidezza delle immagini che offre, ora mi riesce difficile non fare paragoni”.
La profondità della messa a fuoco
Ma la risoluzione retinica da sola non è sufficiente. “Occorre – ha spiegato Zuckerberg- anche che gli schermi supportino una profondità di messa a fuoco pari a 60 pixel per grado a qualsiasi distanza, sia da vicino, ad esempio per leggere un libro che si trova in prossimità del viso, sia da lontano, in modo da poter vedere dettagli come le foglie di un albero. Per risolvere questo problema, abbiamo ideato un metodo per modificare la profondità della messa a fuoco, in modo che corrisponda al punto che guardiamo, mediante lo spostamento dinamico delle lenti, secondo lo stesso principio dell’autofocus delle fotocamere. Nel settore, questa tecnologia viene definita ‘varifocale'”.
LA DISTORSIONE
Oltre alla risoluzione e alla messa a fuoco, l’altra sfida è la “distorsione prodotta dalle ottiche per la VR. Abbiamo ideato diversi metodi per ovviare al problema nel software di Quest. Per ora abbiamo ottenuto un’approssimazione accettabile, ma spesso non è sufficiente, perché la distorsione di un’immagine virtuale cambia in base a come gli occhi si muovono per guardare in varie direzioni”.
La gamma dinamica (o hdr)
La gamma dinamica è il complessivo di luminosità e contrasto di uno schermo. Quando la luce è più forte, i colori risaltano e le ombre sono più scure ed è in quel momento che le scene iniziano davvero a prendere vita. “Ci occorreranno quindi livelli di luminosità decisamente più elevati rispetto a quelli usati oggi per definire l’HDR sugli schermi tradizionali. La difficoltà consiste soprattutto nel fatto che dobbiamo ottenere questo risultato in un dispositivo alimentato a batteria e comodo da indossare”.
I prototipi hololake 2 e mirror lake
Zuckerberg è anche entrato nel dettaglio di due prototipi in sviluppo. Il primo, Hololake 2, è “un dispositivo sperimentale che riunisce i risultati di alcune delle ricerche ottiche più recenti in un visore completamente funzionante diverso da qualsiasi altro oggi esistente. È il visore VR più sottile e leggero che abbiamo mai realizzato ed è compatibile con tutti i titoli VR per PC esistenti”. Holocake 2 introduce due nuove tecnologie: “non invia la luce attraverso una lente, ma attraverso l’ologramma di una lente. La seconda nuova tecnologia usa la riflessione polarizzata per ridurre l’effetto della distanza tra lo schermo e l’occhio”.
Mirror Lake, ha spiegato Michael Abrash, è un concept che “ha la forma di un paio di occhiali da sci e integra non solo l’architettura Holocake 2, ma quasi tutte le avanzate tecnologie visive che abbiamo studiato negli ultimi sette anni, tra cui la modalità varifocale e il tracking oculare. Mirror Lake è la dimostrazione di come potrebbe essere uno schermo completo di prossima generazione. La caratteristica essenziale di questo progetto è che, grazie all’olografia, tutto è piatto e sottile. Mirror Lake è senza dubbio promettente, ma al momento si tratta solo di un concept che ancora non dispone di un visore completamente funzionante in grado di comprovare in modo definitivo la validità dell’architettura. Tuttavia, se dovesse funzionare, sarebbe una vera rivoluzione per l’esperienza visiva in VR”.
fonte agi.it