In tema di indagini bancarie, la mancata autorizzazione all’acquisizione, presso gli operatori finanziari, di copia dei movimenti bancari non implica l’inutilizzabilità dei dati rinvenuti, salvo che ne derivi un concreto danno per il contribuente, né occorre motivare le ragioni di tale tipologia di controllo trattandosi di procedura che deriva dall’organizzazione interna dell’ufficio. Sono queste alcune delle precisazioni fornite dalla Cassazione con la sentenza n. 7448 dell’8 marzo 2022
La vicenda processuale portata al vaglio della Corte suprema ha come oggetto l’emissione, da parte dell’Agenzia delle entrate, di tre avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008 emessi a seguito di indagini bancarie effettuate sul c/c di un contribuente, effettuate ai sensi dell’articolo 32, comma 1, n. 7, del Dpr n. 600/1973. I tre atti impositivi accertavano, altresì, la vendita di un immobile e, in ragione della plusvalenza non dichiarata, erano rideterminati gli imponibili, con conseguente imputazione di maggiori imposte, sanzioni e interessi.
Il ricorso proposto dinanzi la Ctp di Salerno veniva integralmente rigettato, mentre la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello ritenendo giustificate una serie di movimentazioni finanziarie contestate e confermando integralmente la plusvalenza confutata dall’ufficio.
Il contribuente ha censurato la citata sentenza di secondo grado affidandosi a quattro motivi di doglianza cui ha resistito l’Amministrazione finanziaria con controricorso.
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha rigettato il ricorso proposto dalla parte privata condannandola al rimborso delle spese di giudizio.
Il ricorrente, con la prima doglianza in rapporto all’articolo 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cpc, ha censurato la sentenza della Ctr sotto differenti profili giuridici – errore di diritto sulla interpretazione delle norme, errore processuale per omessa pronuncia e vizio di motivazione – lamentando carenze motivazionali in relazione:
- all’omesso avvertimento della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato (articolo 12, comma 2, legge n. 212/2000)
- alla mancata allegazione dell’autorizzazione alle indagini bancarie (articolo 7, comma 1, legge n. 212/2000)
- alla non valutazione, da parte dell’ufficio, dell’esonero dalla presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente percettore di soli redditi da lavoro dipendente (articolo 1, comma 4, lettera d) del Dpr n. 600/1973).
I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto dette eccezioni prive di fondamento in quanto rispettivamente:
- non sussiste nell’ordinamento una norma che faccia discendere la nullità di determinati atti processuali e/o amministrativi dall’assenza circa l’avvertenza di potersi avvalere della difesa di un soggetto tecnicamente abilitato salva la prova di aver subito, nel caso concreto, un reale danno al proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito
- nessun obbligo di allegazione e/o motivazione della autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie risolvendosi, detto atto, in un provvedimento che “esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicché la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente” (Cassazione, pronunce nn. 3628/2017, 16874/2009 e 20420/2014)
- inesistenza di un nesso causale tra l’esonero dalla presentazione della dichiarazione dei redditi e l’attivazione della procedura di indagine basata sull’analisi delle movimentazioni bancarie. Tale indagine rappresenta una modalità di accertamento non vincolato per l’ufficio alla sussistenza di specifici presupposti.
La Cassazione, poi, passando al vaglio gli ulteriori tre motivi di ricorso attinenti il merito delle contestazioni sollevate dall’ufficio, li ha ugualmente rigettati ritenendoli privi di fondamento e non accoglibili.
In particolare, la Corte suprema ha ritenuto di confermare la ripresa a tassazione di un importo considerevole in quanto non giustificato nella sua natura e, soprattutto, derivante dall’adozione di “generiche delibere assembleari”.
Sul punto, la decisione dei giudici della Ctr è stata confermata in quanto l’accredito in argomento era da ritenere non giustificato in quanto privo di valenza probatoria a causa dell’astrattezza delle deliberazioni sociali, il tutto in ragione del fatto che tale movimentazione andava qualificata quale “prestito” e non come “anticipazioni del socio in favore della società” che, come tali, a detta della controparte, non necessitavano di specifici riferimenti circa i tempi, le ragioni e le modalità di erogazione.
Infine, la Cassazione ha confermato anche il recupero a imponibile della plusvalenza realizzata dall’alienazione di un immobile in quanto, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, il cespite in questione, all’esito di un accertamento di fatto, non poteva essere ritenuto adibito ad abitazione principale, facendo scattare, con ciò, quindi, la tassazione della plusvalenza realizzata a seguito dell’alienazione del bene in un termine inferiore ai cinque anni dal suo acquisto.
fonte fiscooggi.it