Ai fini dell’esenzione dall’Iva delle attività di insegnamento ed educazione è necessario che l’impresa privata, oltre a svolgere le medesime prestazioni offerte dagli enti pubblici, soddisfi le condizioni previste dal diritto nazionale per potere essere riconosciuta quale organismo avente finalità compatibili con quelle dell’ente pubblico, senza che tale finalità possa essere desunta dalla classificazione dell’attività presso il registro delle imprese. Così si è espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza resa in causa C-612/20, del 28 aprile 2022, in tema di trattamento delle prestazioni di “doposcuola” rese, non in convenzione con un istituto scolastico ma in autonomia, da una società commerciale rumena.
L’esenzione per le prestazioni di educazione nella direttiva Iva e nel diritto nazionale italiano
Per un migliore inquadramento dei fatti di causa è necessario premettere che l’esenzione per le prestazioni didattiche ed educative trova la sua fonte nel titolo IX della direttiva 2006/112/CE del Consiglio e, specificamente, nell’articolo 132 paragrafo 1, lettere i e j, il quale prevede che gli Stati membri esentino “l’educazione dell’infanzia o della gioventù, l’insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili” nonché “le lezioni impartite da insegnanti a titolo personale e relative all’insegnamento scolastico o universitario”.
Il successivo articolo 133 concede agli Stati la facoltà di subordinare l’esenzione delle prestazioni svolte dagli organismi non statali al rispetto di una o più delle seguenti condizioni: a) scopo non lucrativo e divieto di distribuzione di utili; b) amministrazione a titolo gratuito e senza “conflitti di interesse” con enti commerciali; c) applicazione di prezzi “politici”; d) rispetto della concorrenza nei confronti delle imprese commerciali soggette all’Iva.
Volgendo lo sguardo alla normativa italiana, l’articolo10 del Dpr n. 633/1972 esenta al n. 20 “le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non commerciale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale”.
Il Dl n. 124/2019, che ha inteso recepire le indicazioni della sentenza “A & G Fahrschul-Akademie” (Cgue del 14 marzo 2019, C-449/17), ma al contempo salvaguardare il legittimo affidamento riposto dai contribuenti nella prassi nazionale (cfr risoluzione 134/E/2005), ha introdotto un secondo periodo che esclude dall’esenzione, con effetti dal 2020, l’insegnamento della guida per ottenimento delle patenti B e C1.
Nemmeno possono rientrare nell’esenzione l’insegnamento del nuoto a livello elementare (Cgue, C-373/19) o quello della vela e del surf, seppur nell’ambito di gite di classe (Cgue, ordinanza in C-47/19).
Il diritto nazionale rumeno applicabile e il quesito rivolto alla Corte
Il codice tributario rumeno esenta le attività di insegnamento così come previste dalla legge in materia di pubblica istruzione, la formazione professionale degli adulti e le prestazioni e cessioni strettamente connesse a tali attività. In particolare, la legge sull’istruzione nazionale, n. 1/2011, ha introdotto un programma complementare a quello obbligatorio, denominato “la scuola dopo scuola”, che consente a ogni istituto, in autonomia e sulla base di un proprio regolamento, di estendere le proprie attività dopo le ore di lezione offrendo, prioritariamente (ma non solo) agli alunni appartenenti alle categorie svantaggiate, attività educative, ricreative, di tempo libero, per il consolidamento delle competenze acquisite o di apprendimento accelerato, nonché attività d’insegnamento di recupero. In attuazione di tale previsione è stata emanata una “metodologia di organizzazione” che consente, tra l’altro, di affidare il doposcuola a soggetti privati, nel rispetto della legislazione vigente, in base ad accordi di partenariato.
In questo contesto si pone l’attività della ricorrente, Happy Education, società commerciale che offre un servizio di “doposcuola” in tutto e per tutto equivalente a quello statale – assiste gli alunni nell’effettuare i compiti, offre corsi di lingua, di arte e di sport, ritira i bambini dalle scuole e distribuisce i pasti – ma al di fuori da accordi di partenariato.
Poiché la società aveva superato la soglia di 220mila Lei (poco meno di 45mila euro) al di sotto della quale in Romania le piccole imprese possono applicare un regime di esenzione per le proprie attività imponibili, l’amministrazione fiscale ha richiesto il pagamento dell’Iva, considerando le prestazioni come imponibili in assenza dell’autorizzazione a esercitare attività esenti.
La società ha impugnato l’avviso di accertamento sostenendo che la propria attività rientri nell’esenzione, in virtù sia dell’iscrizione al registro del commercio con il codice Caen (assimilabile al codice Ateco) delle “altre forme d’insegnamento n.c.a.” (non classificate altrove) e sia, soprattutto, dello svolgimento di un’attività di pubblico interesse.
Chiamato a decidere la controversia, il Tribunale del rinvio ha osservato che alla luce del diritto nazionale le prestazioni svolte non dovrebbero essere considerate “Iva esenti”, perché svolte al fuori da un partenariato con l’istituto scolastico, ma che cionondimeno esse rientrano a pieno titolo tra quelle di insegnamento alla luce del diritto dell’Unione (il già citato articolo 132 della direttiva). Il giudice del rinvio si chiede, inoltre, se vi sia un nesso tra il codice Caen, che ha finalità meramente statistica, e l’inclusione della società tra gli organismi aventi finalità simili a quelli degli enti di diritto pubblico menzionati dall’articolo 132 della direttiva.
La decisione della Corte di Giustizia
La Corte di giustizia tratta preliminarmente (ma anche prevalentemente) la seconda questione sottopostale dal giudice, ovvero se l’articolo 132 della direttiva debba essere interpretato in maniera tale da includere nella nozione di ente riconosciuto avente finalità comparabili a quelli di un ente di istruzione pubblica un soggetto privato che svolge attività didattiche di interesse generale e che abbia ottenuto l’autorizzazione dall’ufficio nazionale del Registro delle imprese nazionale.
Dopo aver premesso che le esenzioni costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione e che devono essere interpretate in maniera restrittiva, ma non in modo talmente restrittivo da privarle dei propri effetti, la Corte di giustizia ha affermato che la lettera i) dell’articolo 132 subordina l’esenzione a due condizioni cumulative, ovvero da un lato la natura del servizio prestato e dall’altro la natura del prestatore del servizio (organismo di diritto di pubblico o “altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili”).
Per rispettare la seconda condizione, un ente di diritto privato deve aver ottenuto il riconoscimento ai sensi del diritto nazionale e ogni Stato, pur non potendo violare il principio di parità di trattamento, gode di discrezionalità nel determinare condizioni e modalità di riconoscimento (punti 31 e 32).
Nel caso di specie, in mancanza dell’accordo di partenariato previsto dalla legge rumena, e senza che a tal fine possa risultare utile la classificazione secondo il registro delle imprese (punti 35 e 36) la società non può essere considerata alla stregua di un organismo “riconosciuto” avente finalità simili a quelle degli enti statali.
Va tuttavia ricordato che, secondo la sentenza del 28 novembre 2013, n. C-319/2012, MDDP, più volte richiamata nella motivazione, non è rilevante che l’attività sia svolta con scopo di lucro, anche perché la “commercialità” è una condizione che – come ricordato – consente di derogare all’esenzione, e non una condicio sine qua non della stessa. In altri termini: a parità di finalità di pubblico interesse dei servizi svolti, sono indifferenti le caratteristiche dell’ente che li fornisce.
In conclusione, ritenendo necessario il riconoscimento secondo il diritto nazionale, la Corte di giustizia ha enunciato il principio secondo cui “L’articolo 132, paragrafo 1, lettera i), della [Direttiva IVA], deve essere interpretato nel senso che non rientra nella nozione di «organism[o] riconosciut[o] (…) come avent[e] finalità simili» a quelle di un ente di diritto pubblico per l’educazione, ai sensi di tale disposizione, un ente privato che esercita attività didattiche di interesse pubblico consistenti, in particolare, nell’organizzazione di attività complementari al programma scolastico – quali assistenza nei compiti, programmi educativi, corsi di lingue straniere – e che ha ottenuto un’autorizzazione dall’Ufficio nazionale del registro del commercio, sotto forma di attribuzione del codice CAEN 8559 – «Altre forme d’insegnamento», ai sensi della classificazione delle attività economiche nazionali, qualora tale impresa non soddisfi comunque le condizioni previste dal diritto nazionale per poter beneficiare di tale riconoscimento”.
Data della sentenza
28 aprile 2022
Numero della causa
C-612/20
Nome delle parti
Happy Education srl
contro
Direcţia Generală Regională a Finanţelor Publice Cluj-Napoca, Administraţia Judeţeană a Finanţelor Publice Cluj (Romania)