La Corte di giustizia ha deciso che qualora vi sia un errore nella domanda di rimborso Iva da parte di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro, il fisco nazionale, alla luce dei principi di neutralità fiscale e di buona amministrazione, se è certo della minor richiesta rispetto all’Iva spettante, deve invitare il privato a rettificare la propria istanza, mediante una richiesta da considerarsi introdotta alla data della richiesta iniziale (causa C-396/2020 del 21 ottobre 2021).
I fatti in causa
Una società belga, specializzata nella commercializzazione di pallet, acquistava, in Ungheria, tali beni e, successivamente, li noleggiava alle sue controllate in diversi Stati membri.
Successivamente, presentava alle autorità ungheresi, nella sua qualità di soggetto passivo dell’Iva in Belgio, una domanda di rimborso dell’Iva assolta a monte, corredata, da un lato, da una dichiarazione Iva, nonché, dall’altro, dalle fatture indicate nella dichiarazione.
Il contraddittorio con il fisco
Tuttavia, l’autorità tributaria di primo grado – avendo constatato che l’estratto conto si riferiva talvolta a fatture per le quali l’Iva era già stata rimborsata e riscontrato talune discrepanze tra gli importi dell’Iva menzionati in tale estratto e quelli indicati nelle fatture ad esso allegate – chiedeva alla società di fornire informazioni aggiuntive, precisamente i documenti e le dichiarazioni riguardanti le circostanze della realizzazione dell’evento economico relativamente a determinate fatture.
Dopo l’invio dei documenti richiesti da parte della compagine, il fisco ungherese accoglieva solo parzialmente la domanda di rimborso, rifiutando, anzitutto, di accogliere le richieste che avevano già dato luogo ad un rimborso. Inoltre, per quanto riguarda le richieste il cui importo di Iva era superiore a quello indicato sulla fattura corrispondente, l’Amministrazione finanziaria provvedeva a un rimborso solo fino a concorrenza dell’importo indicato sulla fattura mentre, relativamente alle richieste il cui importo di Iva era inferiore a quello indicato sulla fattura corrispondente, essa provvedeva ad un rimborso solo fino a concorrenza dell’importo menzionato nella richiesta di rimborso. Quest’ultima decisione era oggetto di reclamo da parte della società, non accolto dalla direzione dei ricorsi dell’Amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane.
Il contenzioso in Ungheria
La società, quindi, adiva il tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, che, tuttavia, respingeva il ricorso, sottolineando come la determinazione dell’importo dell’Iva oggetto di un rimborso dipendesse dal soggetto passivo stesso.
La vertenza finiva, quindi, davanti al giudice di ultima istanza.
Questione pregiudiziale
Pertanto, la Corte suprema ungherese, sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale: se l’articolo 20, paragrafo 1, della direttiva n. 9/2008, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’Iva, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, debba essere interpretato nel senso che, anche in caso di evidenti differenze numeriche a svantaggio del soggetto passivo ? senza che si ponga la questione del pro rata ? tra la richiesta di rimborso e la fattura, lo Stato membro di rimborso può ritenere che non sia necessario chiedere informazioni aggiuntive e che disponga di tutte le informazioni pertinenti ai fini della decisione sul rimborso.
La sentenza
La Corte premette che la direttiva n. 9/2008 mira a stabilire norme dettagliate per il rimborso dell’Iva ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso che soddisfino determinate condizioni ed a determinare le condizioni di esercizio e la portata del diritto al rimborso che, al pari del diritto a detrazione, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’Iva, istituito dalla normativa dell’Unione e non può, in linea di principio, essere soggetto a limitazioni. Infatti, il sistema delle detrazioni e, quindi, dei rimborsi, è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o assolta, nell’ambito di tutte le sue attività economiche.
Il sistema comune dell’Iva garantisce, di conseguenza, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, soggette esse stesse all’Iva.
I limiti al rimborso dell’Iva
Tuttavia, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva n. 9/2008 fissa un limite al diritto al rimborso dell’Iva, disponendo che la richiesta di rimborso debba essere presentata allo Stato membro di stabilimento al più tardi il 30 settembre dell’anno civile successivo al periodo di riferimento, e detto Stato debba poi trasmettere tale richiesta allo Stato membro di rimborso, salvo che vi osti uno dei motivi di non trasmissione, elencati nella direttiva.
Detto primo controllo, effettuato dallo Stato membro di stabilimento, è completato da quello effettuato dallo Stato membro di rimborso, il quale può, a tal fine, in applicazione dell’articolo 20, paragrafo 1, della menzionata direttiva, chiedere informazioni aggiuntive al richiedente o allo Stato membro di stabilimento, che siano pertinenti, e quindi necessarie, a tal fine.
Nel caso di specie – continuano i giudici comunitari – il fisco ungherese, avendo constatato discrepanze tra gli importi dell’Iva esposti nella richiesta di rimborso e quelli contenuti nelle fatture prodotte a sostegno di tale domanda, aveva chiesto alla società informazioni aggiuntive ma, una volta esaminati i documenti presentati dalla compagine, non si era avvalsa della possibilità, prevista dalla norma, di chiedere ulteriori informazioni aggiuntive, ritenendosi sufficientemente edotta per statuire sulla domanda di rimborso.
Tuttavia, se il soggetto passivo commette uno o più errori nella sua richiesta di rimborso, e né lui né l’amministrazione interessata li rilevano in seguito, egli non può addebitarne la responsabilità a detta amministrazione, a meno che tali errori non siano di manifesta evidenza, nel qual caso quest’ultima deve essere in grado di constatarli nell’ambito degli obblighi di verifica ad essa incombenti in forza del principio di buona amministrazione.
Quindi, il fisco non era tenuto, se tali informazioni erano effettivamente sufficienti, a procedere a una nuova richiesta d’informazioni aggiuntive che si sarebbe dimostrata inutile, a meno che non si accerti che l’autorità tributaria dello Stato membro di rimborso abbia violato il principio di neutralità oppure, a seconda dei casi, il principio di buona amministrazione.
Infine, conclude la Corte di giustizia, la circostanza che la contribuente abbia presentato la sua domanda di rimborso due giorni prima rispetto alla scadenza del 30 settembre non appare pertinente, poiché, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, della direttiva in argomento, lo Stato membro di rimborso dispone per statuire di un termine di quattro mesi a partire dalla ricezione della domanda di rimborso.
Ne consegue che i termini inerenti all’esame di una richiesta di rimborso portano, in un caso come quello di specie, ad interrogarsi sull’obbligo, imposto a detta amministrazione, di invitare il soggetto passivo non già a presentare una nuova domanda, bensì a rettificare la sua domanda iniziale in funzione delle osservazioni da essa formulate al suo indirizzo.
In sostanza, qualora, a seguito di un errore debitamente rilevato del soggetto passivo, l’amministrazione finanziaria interessata abbia potuto stabilire con certezza l’importo dell’Iva che deve essere rimborsato al privato, il principio di buona amministrazione le impone di informarne con diligenza il soggetto passivo, con i mezzi che gli sembrano più appropriati, al fine di invitarlo a rettificare la sua domanda di rimborso, così da potervi dare un seguito favorevole.
Conclusioni
L’articolo 20, paragrafo 1, della direttiva n. 9/2008, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’Iva, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, letto alla luce dei principi di neutralità fiscale e di buona amministrazione, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che l’amministrazione tributaria dello Stato membro di rimborso, qualora abbia acquisito la certezza – se del caso alla luce delle informazioni aggiuntive fornite dal soggetto passivo – che l’importo dell’Iva effettivamente assolta a monte, quale indicato nella fattura allegata alla richiesta di rimborso, sia superiore all’importo che figura su detta richiesta, proceda al rimborso dell’Iva soltanto nei limiti di quest’ultimo importo, senza avere precedentemente invitato il soggetto passivo, con diligenza ed utilizzando i mezzi che le sembrano più appropriati, a rettificare la sua richiesta di rimborso mediante una richiesta da considerarsi introdotta alla data della richiesta iniziale.
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