L’associazione sportiva dilettantistica che svolge anche attività commerciale, per detrarre l’Iva relativa alle cessioni imponibili, deve tenere, per queste, una rendicontazione separata rispetto alle operazioni riconducibili all’attività istituzionale e, quindi, non detraibili. Non è sufficiente una contabilità parallela nella quale riportare le cessioni commerciali. A precisarlo la Cassazione con la sentenza n. 24661 del 14 settembre 2021.
L’Agenzia delle entrate aveva proceduto alla notifica di un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2007, nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica con il quale disconosceva l’esercizio, in via esclusiva, di attività istituzionale non commerciale.
Tale impostazione aveva comportato il recupero dell’Iva detratta sugli acquisti e del credito Iva derivante dall’anno precedente.
Con lo stesso atto impositivo veniva, inoltre, contestato, in via solidale con un locatore, il mancato assoggettamento a Iva dei canoni percepiti su un immobile in dotazione.
Il ricorso proposto dall’associazione veniva parzialmente accolto dalla Ctp di Napoli con sentenza impugnata sia da parte dell’originaria ricorrente sia, in via incidentale, dall’ufficio.
La Ctr della Campania dichiarava inammissibile il gravame principale e, per converso, accoglieva l’appello incidentale dell’amministrazione.
In particolare, detto accoglimento si fondava sulla circostanza in base alla quale seppur il centro sportivoe avesse dimostrato di avere impiantato una contabilità separata relativa all’attività prettamente commerciale tuttavia aveva erroneamente detratto l’intera Iva versata ai fornitori in assenza di differente registrazione tra operazioni commerciali e attività istituzionale come da statuto.
L’associazione ha proposto ricorso per la cassazione della pronuncia di secondo grado, affidando l’impugnativa a due motivi di doglianza avverso i quali l’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso, l’associazione censura la sentenza della Ctr Campania ai sensi dell’articolo 360, comma primo, n. 3) cpc per violazione e falsa applicazione dell’articolo 53, comma primo, del Dlgs n.546/1992 per avere erroneamente dichiarato inammissibile l’appello principale a suo tempo proposto.
In particolare, la ricorrente evidenzia sia l’assoluto rispetto dei requisiti essenziali ritenuti necessari, dalla norma censurata, ai fini di una corretta e puntuale impugnazione tributaria sia che “l’atto contiene la critica alla sentenza di primo grado”.
La Cassazione ha ritenuto, a sua volta, inammissibile tale eccezione partendo dal richiamo di copiosa giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione civile, nn. 27784/2020 e 707/2019) per cui, pur ritenendo che la sanzione di inammissibilità dell’appello per assenza di specifici motivi prevista dall’articolo 53, comma 1, del .Dlgs n. 546/1992, debba essere interpretata in senso restrittivo vertendo in tema di accesso alla giustizia (articolo 14 delle preleggi) e che, la declaratoria in esame non possa essere pronunciata qualora il contribuente abbia, a sostegno dell’appello, manifestato la volontà di impugnare la pronuncia di merito resa anche in forma implicita, nel caso di specie, si è rilevato che la decisione dei giudici della Ctp di Napoli, peraltro parzialmente favorevole all’associazione, fosse basata sulla presenza di un uso promiscuo ai fini Iva del contratto di locazione, da parte dell’associazione la quale svolgeva:
– attività sportiva di scuola di nuoto in esenzione Iva;
– e attività commerciale nell’ambito della medesima struttura sportiva e con l’utilizzo degli stessi locali.
In definitiva, i giudici di primo grado avevano ritenuto che la contribuente, in virtù della natura promiscua dell’attività ivi esercitata, avesse fatto malgoverno delle disposizioni contenute nell’articolo 19-ter del Dpr n.633/1972 in tema di determinazione e detrazione Iva.
La Cassazione, esaminando il presente motivo di censura, ha rilevato che l’associazione, nel proprio atto di appello a suo tempo dichiarato inammissibile, si fosse limitata a una mera elencazione dei presupposti di diritto che regolano il meccanismo della detrazione Iva ai sensi dell’articolo 19 del decreto Iva in assenza, per l’appunto, di qualsivoglia specifica censura che potesse validamente intaccare l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado e, di conseguenza, consentire, al giudice del gravame, un critico riesame di quanto in essa statuito.
Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente contesta la pronuncia della Ctr, ai sensi dell’articolo 360, comma primo, n.3) cpc, per violazione degli articoli 18 e 19 del Dpr n.633/1972 per presunta erroneità circa il mancato riconoscimento della detraibilità Iva in presenza di documentata contabilità separata, afferente l’attività commerciale svolta, con la differenziazione di costi e ricavi.
Il motivo di censura, qui descritto, è stato ritenuto infondato dalla Cassazione per le seguenti ragioni.
La pronuncia di secondo grado impugnata aveva, come detto, preso atto dell’esistenza di un’attività commerciale, seppur secondaria, esercitata dall’associazione e, al contempo, aveva accertato che quest’ultima, in occasione della liquidazione Iva, non aveva correttamente eseguito una puntuale distinzione tra operazioni commerciali – detraibili – e operazioni istituzionali – non detraibili –.
I giudici di legittimità, richiamando il disposto di cui all’articolo 19-ter, secondo comma, secondo capoverso del decreto Iva, hanno, in conclusione, affermato che alcuna violazione della norma richiamata sia stata prodotta dalla sentenza di merito di secondo grado in quanto la ricorrente, si ribadisce, non aveva proceduto a una puntuale rendicontazione delle operazioni che potessero essere annoverate fra quelle aventi carattere commerciale e, quindi, meritevoli di godere della correlata detrazione, pur in presenza, come riportato, di una contabilità parallela nella quale dette cessioni di beni e servizi venivano annotati.
Per completezza processuale, i giudici hanno inoltre rilevato, nel caso in esame, la formazione di un giudicato sfavorevole all’associazione in merito al rilievo circa il mancato assoggettamento a Iva del canone di locazione dell’immobile utilizzato per le proprie attività a causa della simultanea presenza di:
– una declaratoria di inammissibilità dello specifico motivo di appello proposto in sede di merito dalla contribuente
– una parallela dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di ricorso per Cassazione.
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