Sono state accolte le ragioni con cui una Srl e i soci della compagine si erano opposti al provvedimento di diniego di definizione agevolata di una controversia tributaria.
La causa in esame era stata promossa ai fini dell’annullamento degli avvisi di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa dalla società per un determinato anno d’imposta e recuperate le imposte dalla stessa non versate, nonché il maggiore reddito di partecipazione conseguito dai soci.
La società e i soci si erano rivolti alla Suprema corte impugnando il diniego di rottamazione della controversia opposto dall’Ufficio alla domanda da essi avanzata ai sensi dell’art. 6, del Dl n. 119/2018 e a seguito della quale avevano provveduto alla liquidazione degli importi dovuti.
Il provvedimento dell’Ufficio, in particolare, aveva escluso la definibilità della controversia in ragione della considerazione della pendenza di un giudizio penale per corruzione in atti giudiziari, truffa e falso ideologico in ordine a fatti commessi in riferimento al giudizio svolto davanti alla Commissione tributaria, tale da rendere incerto l’importo dovuto per la definizione medesima.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 40217 del 15 dicembre 2021, ha ritenuto fondate le doglianze dei contribuenti.
Gli Ermellini hanno sottolineato che, nella specie, non era in contestazione il fatto che i contribuenti avessero presentato istanza di definizione agevolata della controversia, provvedendo alla liquidazione degli importi dovuti nella misura risultante dall’applicazione della percentuale del 5% sul valore della controversia, avuto riguardo alla soccombenza del Fisco in entrambi i gradi del giudizio.
Tuttavia l’Ufficio aveva ritenuto che l’importo versato non era corretto visto che la propria soccombenza nel merito era stata determinata per effetto di una condotta penalmente illecita, oggetto di un procedimento penale culminato con il rinvio a giudizio degli imputati.
Una tesi, questa, che gli Ermellini hanno ritenuto non persuasiva: come anche osservato dal Pm nelle proprie conclusioni, infatti, l’assenza di un esito definitivo del procedimento penale non consente di considerare indeterminabili gli importi dovuti per la definizione della controversia e impone, invece, di attribuire rilevanza agli esiti delle sentenze di merito, in quanto non attinte da alcuna declaratoria di falsità.
Laddove poi, dovesse venire accertato, in via definitiva, che tali decisioni sono effetto di dolo del giudice, l’Amministrazione potrà chiederne la revocazione ed, eventualmente, recuperare gli importi indebitamente non versati.
La Cassazione, in definitiva, accertata la definibilità delle liti a seguito della constatazione della illegittimità del provvedimento di diniego e della mancata prospettazione di ulteriori rigoni preclusive alla rottamazione, ha dichiarato estinto il giudizio attivato contro gli avvisi di accertamento.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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