Il decreto “Sostegni-bis”, precorrendo quanto poi formalizzato nel piano della legge delega di riforma fiscale, ovvero puntare a semplificare l’applicazione e la gestione dell’Iva e, soprattutto, allinearsi alla disciplina europea armonizzata dell’imposta, con l’articolo 18, ha modificato la norma relativa all’emissione delle note di variazione a seguito del fallimento del debitore.
L’articolo 26 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972), riguardante la variazione dell’imponibile e dell’imposta, ha subìto nel corso degli anni numerose modifiche, in particolare, per quanto riguarda le variazioni in diminuzione relative a operazioni che, benché fatturate e regolarmente registrate, vengono successivamente meno, in tutto o in parte, a causa del parziale o mancato pagamento del corrispettivo.
In relazione a tali operazioni le indicazioni comunitarie prevedono, all’articolo 90 paragrafo 1 della direttiva n. 2006/112/Ce (direttiva Iva) che “in caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri”. Il legislatore nazionale, tuttavia, usufruendo della facoltà di deroga prevista dal successivo paragrafo 2 – secondo cui “in caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1” – sino all’introduzione della novella normativa ha voluto ancorare la possibilità per il cedente/prestatore di variare in diminuzione l’imponibile e l’imposta originariamente fatturati solo all’esito infruttuoso della procedura concorsuale o individuale conclusasi in capo al cessionario/committente.
Il meccanismo di riduzione, tutt’ora previsto dalla disciplina nazionale, prevede che il cedente/prestatore, in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge, emetta una nota di variazione in diminuzione (la “nota di credito”) che, se regolarmente emessa entro i termini di cui all’articolo 19 del decreto Iva, viene annotata nel registro degli acquisti ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta oggetto di variazione.
Così facendo, tuttavia, il cedente/prestatore è obbligato a farsi carico dell’Iva originariamente fatturata sino alla conclusione della procedura. Nel caso di procedure concorsuali, come quella fallimentare, ciò spesso comporta che il cedente/prestatore debba attendere anche un lasso di tempo considerevole prima di vedersi riconosciuto il diritto di emettere la nota di variazione e, conseguentemente, di detrarre l’Iva corrispondente alla riduzione.
La Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza del 23 novembre 2017 relativa alla causa “Di Maura” (C-246/2016), in relazione a una controversia nata da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate, che contestava a un imprenditore l’emissione della nota di variazione in diminuzione al momento della dichiarazione di fallimento del suo debitore, invece di attenderne l’esito della procedura, ha avuto modo di chiarire alcuni principi generali “di lettura” delle previsioni di cui all’articolo 90 della direttiva Iva.
In primis, i giudici affermano che la facoltà di deroga prevista dal paragrafo 2 dell’articolo 90, strettamente limitata ai casi di non pagamento totale o parziale, si fonda sull’assunto che, “in presenza di determinate circostanze e in considerazione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il non pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio”. Tale deroga, quindi, concessa al legislatore nazionale per far fronte all’incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento di una fattura, non può essere estesa in maniera tale da escludere completamente la riduzione della base imponibile in caso di non pagamento del corrispettivo. Una previsione di tal genere, sarebbe infatti contraria al principio di neutralità dell’Iva, secondo cui l’imprenditore, nella sua qualità di collettore d’imposta per conto dello Stato, deve essere sgravato interamente dall’onere dell’imposta dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche a loro volta soggette a Iva.
Inoltre, ricordano i giudici, che in base al principio di proporzionalità (uno dei principi generali del diritto dell’Unione) i mezzi impiegati per l’attuazione degli obiettivi della direttiva Iva devono essere idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti dall’Unione e non devono eccedere quanto è necessario per conseguirli. Legare, dunque, la possibilità di ridurre la base imponibile alla certezza della definitiva irrecuperabilità del credito comporta, qualora la procedura di recupero del credito possa durare anche più di dieci anni, che l’imprenditore soggetto a tale legislazione, nei casi di non pagamento di una fattura, subisca uno svantaggio, in termini di liquidità rispetto ai concorrenti di altri Stati membri, in grado di compromettere l’obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla direttiva Iva.
Per tali ragioni, dunque, la Corte afferma che “uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’IVA all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni”.
Con le nuove previsioni, di cui all’articolo 18 del decreto “Sostegni-bis”, il legislatore, recependo gli orientamenti sopra richiamati dalla Corte di giustizia Ue, ha modificato nuovamente l’articolo 26 del decreto Iva, andando incontro alle esigenze di quei creditori che, a causa delle lungaggini amministrative legate alle procedure concorsuali avviate in capo al debitore, oltre a dover intervenire nelle stesse ai fini del soddisfacimento delle proprie pretese, si vedevano anche inevitabilmente incisi, fino alla chiusura della procedura, di un imposta pagata al Fisco e non incassata.
Come anche chiarito dalla circolare n. 20/2021, la nuova disciplina prevede, per le procedure avviate dal 26 maggio 2021, che qualora il cessionario/committente (debitore) sia sottoposto dagli organi giurisdizionali a fallimento, il creditore possa emettere la nota di credito per l’intero importo e, conseguentemente, detrarre l’imposta versata e non incassata, già a decorrere dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento.
Così facendo, con l’apertura della procedura in capo al cessionario/committente inadempiente, l’imposta rimane interamente a carico dell’Erario sino alla chiusura della procedura. La nuova disciplina prevede infatti che, a fronte dell’emissione della nota di variazione da parte del creditore, e della sua annotazione nel registro degli acquisti, la procedura non è più tenuta alla corrispondente registrazione della stessa nel registro delle vendite o dei corrispettivi, con l’effetto che questa non sarà più tenuta al versamento dell’imposta scaturente dalla variazione.
La variazione immediata effettuata dal cedente/prestatore, tuttavia, non può ritenersi definitiva. Il nuovo comma 5-bis dell’articolo 26 prevede infatti che nel caso in cui, successivamente all’emissione della nota di credito per l’intero importo, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, dalla procedura, il cedente/prestatore sarà tenuto a emettere la nota di variazione in aumento in relazione all’ammontare effettivamente percepito.
Tale ultima previsione normativa, che consente un “riallineamento” delle registrazioni Iva al corrispettivo effettivamente percepito, rappresenta, da un lato, il recepimento di quel principio generale enunciato dalla Corte di giustizia Ue secondo cui “quando, a causa del mutamento di uno degli elementi inizialmente assunti per il calcolo delle detrazioni, si rende necessaria una rettifica, il calcolo dell’importo di tale rettifica deve far sì che l’importo delle detrazioni infine eseguite corrisponda a quello che il soggetto passivo avrebbe avuto diritto di operare se tale mutamento fosse stato considerato inizialmente” (sentenza 22 febbraio 2018, causa C-396/16; in senso analogo, sentenza 16 giugno 2016, causa C-186/15). Dall’altro, la soluzione adottata dal legislatore per il tramite della ulteriore variazione in aumento, risulta essere implicitamente suggerita dalla stessa sentenza della causa “Di Maura”, laddove, al punto 27, viene dai giudici rappresentato che l’obiettivo di prevenire l’incertezza legata al pagamento del corrispettivo a seguito di procedura fallimentare “potrebbe essere perseguito accordando parimenti la riduzione allorché il soggetto passivo segnala l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque”.
Dunque la nuova disciplina legata all’emissione delle note di variazione a seguito dell’apertura della procedura, introdotta dal Sostegni-bis, risulta essere un’anticipazione di quanto poi formalizzato nel piano della legge delega di riforma fiscale, ovvero puntare a semplificare l’applicazione e la gestione dell’Iva e, soprattutto, aumentare il grado di efficienza in coerenza con la disciplina europea armonizzata dell’imposta.
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