Considerato l’intensificarsi delle contestazioni sui crediti agevolativi, il Governo, tramite il Dl n. 146/2021 ha introdotto la possibilità di riversare l’importo dei crediti R&S (articolo 3, Dl n. 145/2013) indebitamente utilizzati, senza applicazione di sanzioni e interessi. I tax credit riversabili sono quelli maturati a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019.
Il contribuente può avvalersi di questa sanatoria nel caso in cui abbia realmente svolto, sostenendo le relative spese, attività in tutto o in parte non qualificabili come attività di ricerca e sviluppo, ammissibili nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta.
Quindi, non vi è possibilità di ravvedersi per i contribuenti che hanno utilizzato il credito d’imposta in compensazione mediante l’utilizzo di condotte fraudolente, oppure che non sono in possesso di documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito d’imposta.
In proposito, è utile ricordare che con un provvedimento firmato dal direttore lo scorso 1° giugno, l’Agenzia ha delineato la procedura di riversamento spontaneo dei crediti di imposta per attività di ricerca e sviluppo (vedi articolo “Eccesso bonus ricerca e sviluppo: pronte le regole per il riversamento”), prevista dall’articolo 5, commi da 7 a 12, del decreto legge n. 146/2021. Il 4 luglio ha predisposto le specifiche tecniche per la trasmissione e il giorno successivo, con la risoluzione 34/E, ha istituito i codici tributo per il riversamento.
Tanto premesso, è essenziale capire quando un credito di imposta è “non spettante” oppure “inesistente”.
La Cassazione con le sentenze nn. 34444 e 34445 del 16 novembre 2021, ha affermato il principio di diritto secondo il quale un credito deve intendersi inesistente quando manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo, ossia non è reale, e la cui inesistenza non è riscontrabile dai controlli automatizzati (articoli 36-bis e 36-ter del Dpr n. 600/1973. Tale principio di diritto si fonda sull’interpretazione dell’articolo 13, comma 5, del Dlgs n. 471/1997.
La qualificazione del credito come “non spettante” o “inesistente” determina delle modifiche sostanziali nella potestà accertativa dell’amministrazione finanziaria, in particolare, in relazione ai termini decadenziali. In caso di credito “non spettante”, l’articolo 43 del Dpr n. 600/1973 prevede il termine di quattro anni successivi a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, mentre in caso di credito “inesistente”, l’articolo 27, comma 16, del Dl n. 185/2008 prevede un termine di decadenza di otto anni dall’utilizzo del credito inesistente.
Lo stesso giorno in cui l’Agenzia delle entrate pubblicava le specifiche tecniche per l’invio dell’istanza per il riversamento, è stata depositata la sentenza n. 70/2022 della Commissione tributaria provinciale di Rovigo, nella quale i giudici tributari hanno formulato una definizione delle distinte categorie di credito “inesistente” e “non spettante”. In particolare, richiamando le suindicate sentenze della Corte di Cassazione, è stato evidenziato che nel nostro ordinamento sussiste la dicotomia tra credito “non spettante” e “credito inesistente”. Anche secondo la Ctp di Rovigo la definizione di credito inesistente si desume dall’articolo 13, comma 5, del Dlgs n. 471/1997, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli automatizzati. Devono dunque ricorrere entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito:
- deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente)
- l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.
Ne deriva, che se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi “non spettante”.
In sintesi, secondo i giudici veneti, per poter qualificare un credito come “inesistente” è necessario che lo stesso sia ancorato a una situazione non reale o non vera, “ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza”.
I giudici concludono che, qualora la non spettanza del credito d’imposta sia suscettibile di essere rilevata attraverso l’attività di controllo (ex articoli 36-bis o 36-ter, Dpr n. 600/1973), in conseguenza del confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente, il credito è esistente ma non spettante; qualora viceversa il credito d’imposta sia effettivamente non reale, anche se indicato in dichiarazione, ma sorretto da documenti falsi o in caso di totale assenza di documenti che dimostrino l’esistenza, il credito si può considerare inesistente.
In ultima battuta, la Ctp evidenzia che, se il presupposto giuridico è in discussione, ma viene sostenuto da una documentazione regolare, il credito è da considerare non spettante.