In precedenza abbiamo ripercorso l’orientamento di parte della giurisprudenza, in relazione alla qualificazione del credito come “non spettante” o “inesistente”. In estrema sintesi, secondo la sentenza analizzata, tale qualificazione determinerebbe delle modifiche sostanziali nella potestà accertativa dell’amministrazione finanziaria, in particolare, riguardo ai termini decadenziali.
In caso di credito “non spettante”, infatti, l’articolo 43 del Dpr n. 600/1973 prevede il termine di quattro anni successivi a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, mentre nell’ipotesi di credito “inesistente”, l’articolo 27, comma 16, del Dl n. 185/2008 prevede un termine di decadenza, per l’accertamento, di otto anni dall’utilizzo del credito inesistente. La sentenza rimandava al principio espresso dalla Cassazione tramite le pronunce nn. 34444 e 34445 del 16 novembre 2021, le quali, tuttavia, si riferivano a un indebito utilizzo in compensazione di crediti Iva e non ai crediti d’imposta ricerca e sviluppo.
L’orientamento dell’amministrazione finanziaria
Riguardo ai crediti d’imposta ricerca e sviluppo, l’amministrazione finanziaria ha chiarito le modalità e i tempi per l’esercizio delle attività di accertamento, in seno alle quali sono operati i controlli finalizzati a verificare la sussistenza delle condizioni di spettanza e la corretta applicazione della relativa disciplina, tramite la circolare 31/2020.
In relazione alle modalità, la circolare rimanda alle disposizioni di attuazione della disciplina, contenute nel decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 maggio 2015, recante “Attuazione del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo”.
L’articolo 8 del suindicato decreto attuativo prevede che “l’Agenzia delle entrate effettua controlli finalizzati a verificare la sussistenza delle condizioni di accesso al beneficio, la conformità delle attività e dei costi di ricerca e sviluppo effettuati” e “qualora, nell’ambito delle attività di verifica e di controllo effettuate dall’Agenzia delle entrate, si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico in ordine all’ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi sostenuti, la predetta Agenzia può richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere”.
A tal proposito, risulta opportuno evidenziare, che la richiesta di parere tecnico al Mise è facoltativa, infatti laddove l’amministrazione finanziaria dovesse ritenere, in base a proprie autonome valutazioni, che nella specifica fattispecie oggetto di controllo non ricorrano le condizioni di ammissibilità delle attività o delle spese al beneficio fiscale, può procedere al recupero del credito d’imposta anche senza la previa acquisizione del suindicato parere tecnico.
Quindi, l’opportunità di attivare la richiesta di parere al Mise è riferita alle situazioni caratterizzate da:
- un grado di tecnicismo elevato
- assoluta novità della questione riscontrata.
In riferimento ai tempi per l’esercizio delle attività di accertamento, è stato chiarito che, qualora a seguito dei summenzionati controlli sia accertato che le attività/spese sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo, si configura un’ipotesi di utilizzo di un credito “inesistente” per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo. Conseguentemente, il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione sopra richiamata la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.
Quindi, l’amministrazione finanziaria sembra non fare la distinzione tra credito “non spettante” e “inesistente”, anzi ogni qualvolta non ci sono i requisiti di ammissibilità il credito è da ritenere inesistente.
Per quanto appena detto, la norma di riferimento, che disciplina la riscossione di questi crediti utilizzati in compensazione, è l’articolo 27, comma 16, del decreto legge n. 185/2008.
Tale articolo dispone che l’atto deve essere emesso e notificato, a pena di decadenza “entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.
A supporto dei chiarimenti di prassi, bisognerebbe tenere in considerazione l’intervento normativo di fine 2021. In particolare, il legislatore, tramite il Dl n. 146/2021, ha introdotto la possibilità di riversare l’importo del credito indebitamente utilizzato, senza applicazione di sanzioni e interessi, per i soggetti che hanno indebitamente utilizzato in compensazione il credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo. La norma prevede che possono avvalersi della facoltà del riversamento i contribuenti che abbiano realmente svolto, sostenendo le relative spese, attività in tutto o in parte non qualificabili come ricerca e sviluppo, ammissibili nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta. Inoltre, possono accedere alla procedura anche i soggetti che hanno fruito del credito in maniera non conforme a quanto dettato dalla disposizione d’interpretazione autentica recata dall’articolo 1, comma 72, della legge n. 145/2018. Infine, il riversamento spontaneo può essere utilizzato anche per correggere errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili, in violazione dei principi di pertinenza e congruità nonché nella determinazione della media storica di riferimento.
È dirimente il fatto che la norma preveda che i crediti d’imposta riversabili siano quelli maturati a decorrere dal 2015 e fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019. Infatti, seguendo l’orientamento espresso della sentenza analizzata, non si capirebbe il motivo di riconoscere una sanatoria su annualità in cui è intervenuta la decadenza dell’attività accertativa.
In conclusione, tale previsione normativa conferma implicitamente l’orientamento espresso nei documenti di prassi, ovvero che l’atto deve essere emesso e notificato, a pena di decadenza “entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.
fonte fiscooggi.it