La contestazione dell’antieconomicità, in stretta connessione con la dichiarazione fraudolenta tramite fatture false, giustifica il raddoppio dei termini per l’accertamento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 24786 del 15 settembre 2021, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
La vicenda processuale e la pronuncia
Ribaltato dunque l’esito della Ctr Liguria, che aveva dichiarato la decadenza dal potere di accertamento dell’amministrazione per mancata applicazione del raddoppio dei termini: ciò in quanto l’avviso notificato si basava su una presunta antieconomicità delle operazioni poste in essere tra la contribuente e altre aziende (condotta non penalmente rilevante) e, a ogni modo, l’amministratore della società era stato assolto dal reato di dichiarazione fraudolenta.
Con il successivo ricorso in Cassazione, l’Agenzia delle entrate denunciava violazione dell’articolo 43 del Dpr n. 600/1973, ritenendo che il rilievo dell’antieconomicità delle operazioni fosse connesso al giudizio di falsità delle fatturazioni per operazioni inesistenti, che hanno indotto gli organi inquirenti a proporre, nei confronti degli autori, denuncia penale la quale ha dato origine al procedimento conclusosi con l’assoluzione.
Il ricorso è stato accolto: secondo la Cassazione il giudizio della Ctr di esclusione del regime del raddoppio dei termini si basa sulla circostanza che l’ufficio ha posto a fondamento giuridico della pretesa la presunta antieconomicità delle operazioni poste in essere dalle parti interessate, rilievo questo che non legittima il raddoppio dei termini per l’adozione dell’accertamento, contrariamente a quanto previsto nel caso di fatture false, che impone l’obbligo di denuncia penale.
La decisione di merito è, tuttavia, carente perché risulta dall’esame dell’estratto del pvc “che già gli operatori della Finanza avevano in modo chiaro e inequivocabile ipotizzato, oltre ai pro?li di antieconomicità, condotte riconducibili ai reati di cui agli articoli 2 e 8 D.lgs. n. 74/00 attribuibili a soggetti titolari di imprese individuali o legali rappresentanti delle società”.
Lo stesso accertamento, poi, ha messo in evidenza la stretta connessione tra il fatto costitutivo della pretesa ?scale azionata nei confronti della contribuente, costituito dall’indeducibilità dei costi per l’esecuzione dei subappalti stipulati con le società e l’antieconomicità dei contratti, e le operazioni di false fatturazioni. Risultano, inoltre, ben rimarcati nell’avviso gli indici sintomatici della falsità delle fatturazioni nei rapporti tra due società coinvolte, come l’assenza di una struttura amministrativa, l’utilizzo di meri recapiti, l’irrisorietà del capitale e l’assenza di traccia dell’acquisto dei materiali per i lavori.
La commissione regionale ha trascurato del tutto di apprezzare questi elementi. Per questo i giudici accolgono il ricorso dell’amministrazione finanziaria cassando la sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo giudizio.
In tema di raddoppio dei termini dell’accertamento è utile ricordare i principi fissati dalla Corte costituzionale con la sentenza 247/2011, secondo cui il “raddoppio” deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’articolo 331 cpp, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando perciò irrilevante che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (dato anche il regime del “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, ex articolo 20, Dlgs n. 74/2000).
Quindi:
1) “detto obbligo di denuncia sorge quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi di un reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000 (anche se sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento, al pari dell’antigiuridicità e del dolo, resta riservato all’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita”
2) “il medesimo obbligo opera in base a condizioni obiettivamente rilevabili, considerato che anche il pubblico ufficiale non potrebbe liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, dovendola presentare prontamente, pena la commissione del reato di cui all’art. 361 c.p. per il caso di ritardo od omissione nella denuncia”
3) “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione dell’atto impositivo o di contestazione delle sanzioni, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza (cioè circa la sussistenza di una notitia criminis dotata di fumus) ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle menzionate disposizioni al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”
4) “in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare i presupposti dell’obbligo di denuncia penale (non certo l’esistenza del reato) è a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo” (cfr Cassazione nn. 9974/2015 e 1171/2016.).
Infine, segnaliamo che l’articolo 1, comma 131, della legge stabilità per il 2016, definitivamente approvata, ha previsto (attraverso la riscrittura dell’articolo 43 del Dpr n. 600/1973) l’abrogazione del raddoppio dei termini per l’accertamento in presenza di notizie di reato e l’allungamento da 4 a 5 anni degli ordinari termini per l’accertamento.
Per quanto concerne la decorrenza, le nuove regole si applicano a partire dai periodi di imposta in corso al 31 dicembre 2016.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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