La Ctp di Firenze, con la sentenza n. 475 depositata il 13 ottobre 2021, ha stabilito che la prestazione professionale posta in essere in epoca antecedente al fallimento è l’evento generatore del credito di rivalsa Iva e, per tale motivo, il credito deve essere compensato con i debiti erariali anteriori al fallimento. In sostanza, detto credito non è riconducibile al novero dei debiti contratti dall’amministrazione del fallimento perché non è sorto nel corso della procedura fallimentare, per effetto del pagamento del curatore, atteso che, ai fini dell’individuazione dei debiti di massa, non è determinante il profilo temporale bensì quello funzionale.
Con dichiarazione Iva, trasmessa nel 2019, la curatela del fallimento di una Spa chiedeva il rimborso del credito Iva, relativo al periodo d’imposta 2018, per un determinato importo. Il giudice delegato del Tribunale di Firenze, pronunciatosi sulla richiesta di nullaosta alla compensazione del credito con i debiti erariali pre-concorsuali, ex articolo 56 legge fallimentare, con decreto, negava il nullaosta.
Il fallimento della Spa in questione portava la vicenda avanti alla Ctp del capoluogo toscano, impugnando il silenzio-rifiuto dell’ufficio erariale.
Secondo la contribuente, in sintesi, il credito Iva era generato all’atto del pagamento del corrispettivo e dell’emissione della fattura da parte del prestatore pagato, e non nel momento dell’effettuazione della prestazione, come, invece, ritenuto dall’Agenzia delle entrate.
Pertanto, il fallimento sosteneva che il citato provvedimento del giudice delegato, non essendo stato oggetto di reclamo da parte dell’Agenzia delle entrate nei dieci giorni successivi alla sua notifica, fosse diventato definitivo.
In particolare, continuava la contribuente, benché la genesi del credito di rivalsa Iva dei prestatori dei servizi fosse precedente all’apertura del fallimento e, pertanto, detto credito concorresse al passivo fallimentare, nei confronti dei medesimi prestatori l’imposta sarebbe divenuta esigibile nel momento in cui vi era stata l’erogazione del corrispettivo, ovvero successivamente all’apertura del fallimento: quindi, solo al momento del pagamento del corrispettivo sarebbe sorto il diritto alla detrazione in capo alla curatela della società.
In definitiva – questa la posizione della ricorrente – la genesi endoconcorsuale del diritto alla detrazione Iva precluderebbe l’operatività della compensazione, di cui all’articolo 56 della legge fallimentare, norma, invece, di cui l’ufficio invocava, anche in giudizio, l’applicabilità.
La Ctp, nel rigettare il ricorso, premette che presupposto della compensazione in ambito fallimentare è che entrambe le obbligazioni siano anteriori alla data di apertura della procedura concorsuale, con riferimento alla causa genetica e non all’esigibilità, che può essere anche successiva all’apertura del fallimento.
Ebbene, prosegue il Collegio fiorentino, ai fini della compensabilità ex articolo 56 citato, rileva l’anteriorità al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte (cfr. Cassazione n. 3280/2008 che richiama Cassazione sezioni Unite n. 775/1999) e, nel caso in esame, non era in contestazione che gli importi iscritti a ruolo a carico del fallito fossero riferibili al periodo ante-procedura.
Infatti, il credito Iva della Spa chiesto a rimborso dalla curatela del fallimento, come previsto dall’articolo 23 Dlgs n. 472/1997, non poteva essere rimborsato per la presenza dei summenzionati carichi tributari. Il credito chiesto a rimborso, pertanto, era relativo al periodo antecedente al fallimento poiché, nonostante derivasse da fatture di acquisto emesse e registrate formalmente dopo la dichiarazione di fallimento, si riferiva esplicitamente a prestazioni effettuate nel periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento: l’oggetto delle stesse era, infatti, costituito da prestazioni professionali liquidate a seguito di approvazione del piano di riparto parziale o finale.
La Ctp fiorentina osserva, poi, che l’ufficio aveva correttamente informato la curatela del fallimento circa la propria intenzione di avvalersi della compensazione del credito Iva, vantato dalla società, con i debiti erariali iscritti a ruolo nei confronti di quest’ultima, attraverso la richiesta di nullaosta alla compensazione. Ebbene, il curatore fallimentare aveva presentato istanza al giudice delegato al fine di ottenere l’autorizzazione a fornire il nullaosta all’ufficio, facendo presente, in tale sede, la propria posizione circa la non compensabilità del credito Iva chiesto a rimborso con i debiti erariali pre-concorsuali.
Il giudice delegato aveva negato la concessione del nullaosta alla compensazione con un decreto che, tuttavia – questo è il punto fondamentale – appare alla Ctp vincolante soltanto nei confronti del curatore del fallimento.
Difatti, inferisce il Collegio fiorentino, l’ufficio ha legittimamente, a mente dell’articolo 23 Dlgs n. 472/1997 e dell’aricolo. 56 legge fallimentare, ritenuto di non procedere al rimborso del credito Iva della società, in quanto quest’ultimo poteva essere compensato con i debiti erariali.
E ciò, poiché, nel caso di specie, sia i debiti tributari pendenti a carico della contribuente che il credito Iva chiesto a rimborso, avevano il loro momento genetico anteriormente alla dichiarazione del fallimento: pertanto, in conformità al consolidato orientamento della Cassazione, l’Agenzia delle entrate ha correttamente ritenuto che il credito Iva, dovendo essere compensato con i debiti erariali di importo superiore, non potesse essere rimborsato.
Né risultava in contestazione, osserva la Ctp, che, nel caso di specie, il suddetto credito Iva fosse originato da fatture relative a prestazioni di servizi ricevute dalla società in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento. La prestazione professionale posta in essere in epoca antecedente al fallimento, infatti, è l’evento generatore del credito di rivalsa Iva e, per tale motivo, il credito deve essere compensato con i debiti erariali anteriori al fallimento, in conformità alle statuizioni del supremo Collegio (cfr. Cassazione nn. 8222/2011; 178786/2013; 14620/20 19).
Secondo il Collegio fiorentino, in definitiva, il credito di rivalsa non è riconducibile al novero delle spese e dei debiti contratti dall’amministrazione del fallimento perché non è sorto nel corso della procedura fallimentare per effetto del pagamento del curatore, atteso che, ai fini dell’individuazione dei debiti di massa, non è determinante il profilo temporale, bensì quello funzionale, cioè in occasione e per finalità della procedura. In questo senso, la stessa Cassazione ha spiegato che l’emissione della fattura all’atto della ricezione del compenso è una facoltà alternativa all’immediata fatturazione (ex articolo 6, comma 4, Dpr n. 633/1972) e che i meccanismi di registrazione e detrazione della relativa Iva sono situazioni fattuali insuscettibili di modificare la natura giuridica del fenomeno. (cfr. Cassazione n. 8222/2011).
Pertanto, la tesi per cui l’evento generatore del credito Iva dovrebbe essere individuato nel pagamento della prestazione, in quanto in tale momento l’imposta diventa esigibile nei confronti del prestatore, con conseguente diritto alla detrazione dell’imposta in capo al committente appare errata, come ha spiegato la stessa prassi dell’ufficio (cfr. risposta ad interpello n. 164/2019), secondo cui il momento in cui l’operazione si intende effettuata resta ancorato al verificarsi degli eventi all’uopo previsti in via generale, vale a dire al momento della consegna o spedizione dei beni, dell’emissione della fattura e così via.
Quindi, continua la prassi citata, da un lato, la fattura ad esigibilità differita emessa dal cedente o prestatore è da considerarsi fattura definitiva e, dall’altro, l’aliquota Iva applicata all’operazione è anch’essa definitiva, non più suscettibile di variazione, in caso di successive modifiche legislative.
La nozione di esigibilità dell’imposta è, pertanto, intesa come diritto dell’erario a percepire il tributo a partire da un determinato momento che, nel caso di specie, coincide con il pagamento del corrispettivo da parte dell’ente cessionario o committente, a favore del cedente o prestatore.
Dalle considerazioni che precedono, anche alla luce di un orientamento giurisprudenziale conforme alla prospettazione erariale, è scaturito il rigetto del ricorso della contribuente.
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