Dall’unificazione del Regno e fino al 1974, anno in cui fu abolita, in Italia si pagava l’imposta sul sale. Un tributo tra i più antichi, corrisposto anche ai tempi in cui il Paese era suddiviso in piccoli Stati, in cui vigevano diverse forme di imposizione. Il motivo del prelievo sul sale trovava origine nel valore che lo stesso assumeva nel passato: ad esempio, nell’antica Roma era un bene così prezioso che i soldati erano pagati con questa sostanza – da qui il termine “salario”, usato ancora oggi. Il sale creava scambi, sorreggeva monete, imponeva tasse, provocava e finanziava guerre. Di conseguenza, fin dall’antichità si svilupparono i monopoli del sale allo scopo di calmierare i prezzi, di regolare l’introito dei mediatori e assoggettarlo all’imposta. Ciò detto, con la legge fondamentale sulla privativa dei Sali e tabacchi (la n. 710/1862) il primo legislatore italiano fissò una nuova tariffa del prezzo dei Sali e Tabacchi come tassa indiretta sul consumo, la cui riscossione era ottenuta tramite la privativa fiscale. Questa prevedeva l’istituzione, per la fabbricazione e la vendita, o per la vendita soltanto di quei generi, un monopolio a favore dello Stato, vietandone ai privati la fabbricazione e la vendita, oppure la vendita soltanto. In quest’ultimo caso, però, fu imposto ai fabbricanti di cedere il prodotto esclusivamente allo Stato, il quale diventava così libero nella fissazione del prezzo, che poteva elevare fino al punto da comprendere in esso, oltre al costo del prodotto, la quota di imposta prestabilita. Dopo una serie di modifiche e centododici anni di vita, nel 1974 la legge fu abrogata e così l’imposta sul sale.
fonte fiscooggi.it