La sommarietà e intellegibilità dell’esposizione delle difese delle parti, elaborata in relazione al ricorso per cassazione, deve intendersi riferibile anche ai gradi di merito. Di conseguenza, ove non vengano rispettati i riferiti parametri, l’atto di impugnazione di secondo grado può essere dichiarato inammissibile in via pregiudiziale, precludendo così l’esame da parte del giudice del merito della controversia.
Queste, in sintesi, le conclusioni rese dalla Commissione tributaria regionale del Veneto nella sentenza n. 367 dello scorso 9 marzo.
A seguito dell’attività di indagine della Guardia di finanza, conclusasi con la notifica di un processo verbale di constatazione, il competente ufficio dell’Agenzia emetteva quattro avvisi di accertamento per altrettanti periodi d’imposta a carico di una società in nome collettivo nonché dei suoi soci, cui il reddito veniva imputato “per trasparenza”.
I ricorsi proposti sia dall’ente che dalle persone fisiche venivano riuniti e rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia con sentenza n. 343/2020.
La società e i soci impugnavano la pronuncia di prime cure con atto di appello che (secondo quanto si legge nella sentenza in commento) si compone “di 172 pagine al quale sono stati allegati 36 documenti che, nel fascicolo telematico, sono rappresentati da 225 allegazioni; l’allegato principale (da un punto di vista del merito della controversia) è la consulenza tecnica … che risulta composta da 1279 pagine”.
Con sentenza n. 367 del 9 marzo scorso, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha ritenuto inammissibile l’appello riportandosi all’orientamento della Cassazione che, spiegano i giudici, “ha individuato nella sommarietà (intesa come concisione dei fatti essenziali) ed intellegibilità della esposizione nelle difese delle parti, una condizione prevista a pena di inammissibilità degli atti difensivi e dei procedimenti ad essi conseguenti”.
Secondo la pronuncia in rassegna, sulle parti graverebbe dunque l’onere di effettuare un lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda da sottoporre al vaglio dei giudici, senza pertanto dover costringere questi ultimi a procedere alla lettura integrale dell’atto di impugnazione, perché in caso contrario “si delegherebbe al Giudice stesso un’attività che, al contrario, risulta invece di esclusiva competenza della parte…”.
In proposito, si legge ancora nella pronuncia, la sentenza delle sezioni unite, n. 5698/2012, “ha pure sottolineato che l’importanza che il principio della sintesi va assumendo nell’ordinamento processuale è del resto attestata anche dall’art.3 n.2) del Codice del Processo Amministrativo di cui al DLgs n. 104/2010 il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica, e dall’avvenuta adozione, da parte del Primo Presidente della Corte di Cassazione, di una direttiva volta ad ·assicurare la sinteticità dell’esposizione negli atti difensivi”.
Date queste premesse, nel ritenere la riferita regola applicabile anche ai giudizi di merito, il collegio veneziano ha quindi dichiarato inammissibile l’appello e, valutando “la produzione di una memoria (e dei suoi allegati) così eccessiva …nell’ambito della condotta processuale tenuta dalla parte” ai fini della soccombenza per le spese del giudizio, ha condannato l’appellante al pagamento degli oneri processuali liquidati in 10mila euro oltre accessori.
La pronuncia, che a quanto consta costituisce uno dei pochi esempi del genere nella giurisprudenza di merito, ricalca sotto il profilo motivazionale il percorso argomentativo a suo tempo intrapreso dalla Commissione tributaria regionale della Toscana nella sentenza n. 918/2019 emessa in relazione a un appello in materia di pagamento di contributo unificato e nella quale, sul presupposto dell’“immanenza nel sistema processuale ormai acquisita dal detto principio di necessità di sintesi”, il collegio fiscale pervenne alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione di secondo grado che si componeva di 202 pagine.
Presso la Corte suprema, si rinvengono, invece, diverse pronunce nelle quali, con riguardo al confezionamento del ricorso di legittimità, è stata dichiarata inammissibile la “tecnica del ricorso “farcito”, o del ricorso-sandwich, con il quale…, è stata scaricata sulla Corte tutta la documentazione di merito (con la sola aggiunta di pagine-etichetta) quasi a dire ‘veda la Corte cosa le serve’” (Cassazione, n. 15180/2010 e n. 8425/2020).
Questa modalità di stesura del gravame di legittimità è stata ritenuta sussistere laddove una pluralità di documenti vengano “integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti” (Cassazione, n. 9382/2020), in violazione della regola fissata dall’articolo 366 cpc il quale prevede che il ricorso dinanzi alla Corte debba contenere, tra l’altro, “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”.
In questa ipotesi, è stato rilevato, l’eccesso di documentazione “viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo)… e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso” (Cassazione, nn. 35608/2021, 18888/2021, 4971/2020 e 3394/2020).
La sentenza in commento, pur richiamando diversi precedenti di nomofilachìa e consapevole che il riferito orientamento è stato elaborato in relazione al solo ricorso per cassazione, ha comunque ritenuto di poter riferire la regola della sinteticità come elaborata a suo tempo dalle sezioni unite nella sentenza n. 5698/2012 anche nell’ambito dei giudizi di merito osservando che detta pronuncia “fissa dei principi che, per il loro carattere di generalità, appaiono applicabili non solo al Processo Civile ma (ex art. 1 D.Lgs. 546/1992) anche a quello Tributario”.
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