In Africa il rapporto fra le entrate e il prodotto interno lordo cresce lentamente, per arrivare al 16,6% nel 2019, con un aumento dello 0,3% rispetto all’anno precedente. È quanto rivela il report Revenue Statistics in Africa 2021 pubblicato nei giorni scorsi dall’Ocse. Ai 30 Paesi monitorati corrispondono realtà nazionali estremamente diversificate fra loro: il rapporto entrate/Pil va infatti dal 6% della Nigeria al 34,3% della Tunisia. Rispetto ai documenti degli anni precedenti, il report del 2021 lancia l’allarme su un aspetto critico che rischia di vanificare i piccoli ma costanti miglioramenti della situazione complessiva: la lenta crescita dei versamenti non è sufficiente a compensare la crescita dei costi del debito pubblico. In primo piano anche l’analisi della struttura del prelievo tributario, con le imposte indirette che nel continente africano rappresentano tendenzialmente la fetta più grande della torta fiscale.
Il rapporto entrate/Pil non cresce in maniera uniforme. Il continente africano si presenta spaccato in due: in 16 Stati il dato aumenta fra 2018 e 2019, mentre diminuisce nei restanti 14 Paesi presi in esame. A trainare la crescita sono la Guinea Equatoriale, il Mali e la Tunisia (il Paese in testa alla “classifica”) con un rapporto entrate/Pil che aumenta di oltre il 2,5%. In coda troviamo, invece, la Repubblica Democratica del Congo (7,5%) e la Nigeria (6,0%). Il ben poco uniforme dato africano rimane comunque non solo ben al di sotto della media Ocse (33,8%), ma anche dell’area Asia-Pacifico (21,0%) e dell’America Latina e Caraibi (22,9%).
L’analisi della struttura delle entrate mette in evidenza ancora una volta la netta prevalenza delle imposte indirette su quelle dirette. Le imposte su beni e servizi rappresentano infatti il 51,9% del totale (con l’Iva al 29,3%). La tassazione dei redditi e dei profitti si ferma, invece al 39,4%. In particolare, le imposte sui beni e sui servizi sono la principale fonte di entrate fiscali per 22 su 30 Paesi africani inclusi nel report. Fanno eccezione Paesi come il Sud Africa (in cui le imposte su redditi e profitti rappresentano la fetta principale del gettito) e gli Stati in cui il petrolio costituisce una delle principali fonti di reddito: Nigeria, Guinea Equatoriale e Chad. In una fase storica in cui la crisi climatica è al centro del dibattito le imposte ambientali rappresentano in media solo l’1,1% del prodotto interno lordo, una percentuale più bassa della media Ocse (2,2%).
L’edizione 2021 di Revenue Statistics in Africa analizza con più dettaglio la questione del peso del debito sull’economia africana. A partire dal 2010, spiega il rapporto, nel continente i costi del debito pubblico esterno (pagamenti e interessi) sono cresciuti dell’1,1% del prodotto interno lordo, vanificando in parte la parallela crescita delle entrate tributarie (1,8%). Questo incremento dei costi del debito appare legato a una maggiore esposizione dei Paesi coinvolti sui mercati internazionali. “Questo aumento – si legge nella brochure illustrativa del documento – è stato in parte determinato dal passaggio dai prestiti agevolati ai prestiti commerciali sui mercati internazionali dei capitali (spesso a tassi di interesse più elevati). L’aumento dei finanziamenti privati a tassi di mercato ha consentito ai governi africani di prendere in prestito più fondi al costo di aumentare l’esposizione al rischio di cambio e ai pagamenti del servizio del debito”. Inoltre, sempre secondo il rapporto, l’impatto del Covid 19 potrebbe aver comportato un ulteriore aggravamento dei costi del debito sulle finanze statali africane.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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