In tema di accertamento dei maggiori corrispettivi derivanti dalla vendita di unità immobiliari e di minori costi di acquisto, il giudice può fondare il proprio convincimento che il prezzo di vendita sia eccessivo anche su un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e gravità ma, qualora si avvalga del valore Omi, deve combinarlo con ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, idonei a provare l’esistenza di attività non dichiarate e di costi non deducibili, quali, ad esempio, i valori di altre banche dati, le caratteristiche di pregio non dimostrate e la coincidenza sostanziale tra parte acquirente (società) e parte venditrice (suo socio unico). Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 14493 del 9 maggio scorso.
I fatti
L’Agenzia delle entrate ha emesso due distinti avvisi d’accertamento, con i quali ha rettificato la dichiarazione di una srl per gli anni d’imposta 2005 e 2006, accertando, tra l’altro, con riferimento al 2006, minori componenti negativi per € 68.758,00 (ammortamenti indeducibili).
In particolare, l’Amministrazione ha contestato alla società di aver acquistato dall’unico socio due unità immobiliari, al prezzo di € 3.000.000,00, abnorme, considerando sia i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi), della Camera di commercio e dell’Agenzia del territorio, sia la giustificazione che tale prezzo rifletteva il particolare pregio degli immobili. Dopo aver determinato il valore normale degli immobili in euro 438.900, l’Agenzia ha ritenuto sussistente una sopravvalutazione di euro 2.561.100, e ha affermato che il prezzo, manifestamente antieconomico, era indicativo, in realtà, del fatto che la società avesse distribuito utili al socio venditore, mascherandoli con i corrispettivi della cessione, così realizzando una duplice finalità di risparmio fiscale. Nella stessa annualità d’imposta, infatti, da una parte, l’operazione aveva consentito al socio di evitare la tassazione dei dividendi occulti; dall’altra, la società aveva potuto dedurre maggiori ammortamenti relativi agli immobili acquistati, pagando pertanto minori imposte.
I giudici di merito hanno respinto il ricorso e l’appello della società. In particolare, la Ctr, confermando la sentenza di primo grado, ha ribadito la natura palesemente antieconomica dell’operazione immobiliare così come risultava documentata dall’atto notarile di compravendita, con conseguente fondatezza della ripresa a tassazione delle imposte calcolate sull’imponibile eccedente accertato. La sopravvalutazione delle due unità immobiliari trovava fondamento non tanto e non solo nel raffronto fra l’abnorme corrispettivo pagato (€3.000.000) e il valore normale desunto dalla banca dati Omi e dai valori medi di mercato rilevati dalla Camera di commercio di Cagliari, ma soprattutto da ulteriori elementi, significativi e concomitanti, indicativi dell’evidente fittizietà dell’intera operazione realizzata dalle parti. Elementi costituiti, per un verso, dalle accertate caratteristiche dei due immobili alienati (le cui asserite finiture di pregio non erano state minimamente dimostrate, tanto meno giustificate dall’ubicazione delle unità, dalle loro dimensioni e dalla destinazione d’uso) e, per altro verso, dalla sostanziale coincidenza fra soggetto economico cessionario (socio, persona fisica) e parte acquirente (srl partecipata al 100% dallo stesso socio), sì da configurarsi l’operazione descritta dall’ufficio con i relativi benefici fiscali.
La società ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro, ex articolo 360, n. 3, cpc, violazione di legge poiché la sentenza impugnata: a) aveva erroneamente ritenuto che il valore Omi e l’esistenza di rapporti partecipativi rappresentassero presunzioni gravi, precise e concordanti circa la sopravalutazione degli immobili laddove, viceversa, tale presunzioni non sussistevano sia perché il valore Omi non era rilevante ai fini delle imposte dirette, come non lo era, allo stesso modo, l’esistenza di rapporti partecipativi tra cedente e acquirente; b) aveva disatteso, senza alcun riferimento né spiegazione, le valide ragioni dimostrate dai ricorrenti. La Corte ha ritenuto il motivo infondato e ha affermato che « Gli elementi assunti a fonte di presunzione … non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purché preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata…» (Cassazione, n. 14493/2022).
Osservazioni
I giudici di legittimità, dopo aver ex articolo 39, comma1, lettera d), Dpr n. 600/1973 l’accertamento analitico-induttivo può essere fondato anche su presunzioni semplici qualificate, ovvero dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza articolo 2729 codice civile, hanno richiamato la modifica apportata all’articolo 39 citato dall’articolo 24, comma 5, legge n. 88/2009.Tale modifica, con effetto retroattivo legato alla finalità di adeguamento del diritto interno al diritto dell’Unione europea, eliminando la presunzione legale relativa (introdotta dall’articolo 35, comma 3, Dl n. 223/2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi, ha ripristinato il precedente quadro normativo nel quale l’esistenza di attività non dichiarate poteva essere desunta da presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Al riguardo la Corte ha chiarito che, in materia di presunzioni semplici, non è escluso che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo. Con riferimento alla prova in materia civile e ai fini degli accertamenti tributari, infatti, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzione siano plurimi, benché́ gli articoli 2729, comma 1, codice civile, 38, comma 3 e 39, comma 4, Dpr n. 600/1973, 54 Dpr n. 633/1972 si esprimano al plurale, ben potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (Cassazione, sentenza n. 656/2014 e n. 17574/2009).
Al fine di valutare se anche un unico elemento presuntivo soddisfi con sufficienza il supporto probatorio alla rettifica del corrispettivo, la Corte è pervenuta a conclusioni differenti nelle singole fattispecie con riferimento alla rettifica dei corrispettivi dichiarati nel settore immobiliare. Al riguardo, la Cassazione mentre ha sostenuto che lo scostamento tra l’importo dei mutui e i minori prezzi indicati dal venditore è sufficiente a fondare l’accertamento, non sussistendo in tale ipotesi alcuna violazione delle norme in materia di onere probatorio (Cassazione, n. 14388/2017), nel caso di scostamento dai valori Omi (cioè dai prezzi di mercato rilevati dall’Osservatorio sulla base delle transazioni registrate presso le Entrate), ha affermato che l’unico elemento disponibile non rappresenta un fatto, ma un dato, a sua volta presunto e derivante da uno studio statistico su una pluralità̀ di atti registrati, e che non può di per sé garantire la perfetta sovrapponibilità̀ con la specifica compravendita, potendo intervenire una pluralità̀ di componenti peculiari nella condizione dell’immobile (Cassazione, n. 12269/2018, n. 2155/2019, n. 2609/2019, n. 17005/2020).
Al riguardo la Cassazione ha affermato che l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita e il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni Omi, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (cfr., ex plurimis, n. 11439/2018, n. 9474/2017, n. 14388/2017, n. 26487/2016, n. 23485/2016, n. 24054/2014, n. 11439/2018, in materia d’imposta di registro; n. 2155/2019 e n. 23379/2019, in materia di Iva).
Nella fattispecie in esame, tuttavia, dagli atti di causa è emerso che il Fisco aveva utilizzato lo scostamento dai valori Omi per esperire l’accertamento analitico-induttivo, ma il presupposto che aveva consentito di ritenere inattendibile il prezzo di vendita dichiarato nell’atto di trasferimento immobiliare era costituito, non soltanto dal predetto scostamento e da ulteriori elementi di valutazione relativi alle caratteristiche (di pregio) degli immobili, contestate ab origine nell’atto impositivo e ritenute non provate dalla Ctp, ma anche dalla circostanza – valorizzata nella motivazione della Cassazione – che la compagine societaria della srl acquirente era coincidente con il socio unico, parte venditrice, venendo in tal modo a mancare qualsiasi contrapposizione di interessi che possa attribuire attendibilità al prezzo dichiarato nell’atto (Cassazione, n. 6119/2021). Il giudice d’appello, inoltre, diversamente da quanto sostenuto negli scritti difensivi dei ricorrenti, non ha trasferito ai contribuenti l’onere della prova dell’incongruenza del prezzo concordato, ma, preso atto degli indizi utilizzati dall’Af soprattutto tramite il riferimento ai valori Omi e alla sostanziale coincidenza (sotto il profilo degli interessi) delle parti contrattuali, ha ritenuto che non fossero stati provati dagli interessati i fatti dedotti a proprio discarico. Tali valutazioni di merito del giudice a quo, per orientamento di legittimità consolidato, non sono sindacabili in sede di legittimità.
fonte fiscooggi.it