Al fine di contrastare i fenomeni “patologici” collegati alle compensazioni di crediti inesistenti e alle indebite cessioni di credito d’imposta non spettanti, e al fine di garantire ai contribuenti il corretto adempimento degli obblighi tributari e, conseguentemente, agevolare l’amministrazione finanziaria nei successivi controlli, il legislatore tributario, con il decreto legislativo n. 241/1997, ha introdotto il visto di conformità. Quindi, è stato demandato al professionista, che predispone e invia la dichiarazione fiscale, parte dell’attività di controllo sulla corretta applicazione della normativa.
Il professionista, per essere autorizzato al rilascio del visto di conformità, deve possedere i requisiti professionali di onorabilità e moralità tali da garantire al proprio cliente e al Fisco che l’attività offerta sia fedele alla normativa.
Pertanto, il visto di conformità è un controllo attribuito dal legislatore a professionisti abilitati iscritti negli appositi Albi, in tal modo parte delle verifiche è stata affidata a soggetti estranei all’amministrazione. La finalità è il riscontro dell’applicazione corretta delle norme tributarie. Il suindicato Dlgs, all’articolo 35 ha previsto il cosiddetto “visto leggero”, mentre l’articolo 36 disciplina la certificazione tributaria, comunemente detta “visto pesante”.
Il legislatore ha demandato un’ulteriore attività di controllo a soggetti esterni all’amministrazione finanziaria, ovvero l’“asseverazione”. Quest’ultima consiste nell’attestazione che le scritture contabili ed extracontabili siano corrispondenti ai dati comunicati all’Agenzia delle entrate per l’applicazione degli studi di settore. Risulta opportuno ricordare che dall’anno di imposta 2018 gli indici di affidabilità fiscale, i cosiddetti Isa, hanno sostituito i suindicati studi di settore.
Il rilascio del “visto pesante” prevede l’effettuazione dei controlli indicati annualmente con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze.
Il professionista, nell’effettuare questi controlli, prodromici al rilascio della certificazione tributaria, dovrebbe tenere in considerazione altresì i “principi di revisione fiscale elaborati dai consigli nazionali dei dottori commercialisti, dei ragionieri dei consulenti del lavoro”.
Affinché possa essere rilasciata la certificazione tributaria a un contribuente soggetto agli indici di affidabilità fiscale, è necessario verificare che lo stesso sia in possesso del “visto di conformità” e dell’asseverazione, solo successivamente possono essere effettuati i controlli sostanziali, individuati annualmente tramite decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, per il rilascio del visto pesante.
È fondamentale sapere che il visto di conformità non si considera apposto se il professionista che lo rilascia:
- non è iscritto nell’elenco informatizzato dei professionisti abilitati
- non coincide con chi ha trasmesso la dichiarazione in via telematica
- non risulta connesso con l’associazione/società che ha trasmesso la dichiarazione in via telematica.
Nel caso in cui il visto non si consideri apposto, l’Agenzia delle entrate procede al recupero dei crediti utilizzati in compensazione, degli interessi e all’irrogazione delle sanzioni. Invece, in caso di rimborso Iva, viene richiesto al contribuente di fornire una polizza fideiussoria.
In questo approfondimento viene esaminata la questione relativa alla natura del visto di conformità apposto da un professionista su dichiarazioni fiscali che superano le soglie quantitative e qualitative per la commissione dei reati previsti dal Dlgs n. 74/2000.
Il decreto ministeriale 164/1999, all’articolo 2, chiarisce che l’apposizione del visto di conformità implica che il professionista abilitato incaricato al rilascio abbia riscontrato la corrispondenza dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali con le risultanze documentali e le disposizioni tributarie. Quindi, è richiesta la verifica della regolare tenuta delle scritture contabili e la corrispondenza tra i dati esposti nella dichiarazione fiscale e quanto riscontrabile dalla contabilità e dalla documentazione a supporto.
Il soggetto che rilascia un falso visto di conformità, pesante o leggero, è perseguibile anche in ambito penale, come previsto dall’articolo 39 del decreto legislativo 241/1997 e concorre al reato ai sensi dell’articolo 110 del codice penale, infatti, con il rilascio del visto di conformità crea uno strumento fraudolento che è in grado di ostacolare l’attività accertativa e, conseguentemente, può indurre in errore il Fisco, almeno questa è la conclusione a cui giunge la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 30329, dello scorso 1° agosto.
Riguardo al fatto che la circolare n. 12/2010 spieghi che “tale verifica non comporta valutazioni di merito, ma il solo riscontro formale della corrispondenza in ordine all’ammontare delle componenti positive e negative relative all’attività esercitata”, i giudici di piazza Cavour hanno chiarito che il professionista dall’analisi formale dei dati contabili e fiscali di una società coinvolta in un sistema fraudolento, come nel caso di specie oggetto di giudizio, dovrebbe facilmente e chiaramente riscontrare le rilevanti anomalie, come ad esempio con riferimento agli ingenti acquisti privi di correlate vendite.
Dalla lettura della stessa sentenza si deduce che al soggetto che ha posto il “visto leggero” non è richiesto nessun obbligo di valutazione di merito, ma se lo stesso svolge l’attività di consulente della società “doveva essere pienamente consapevole della fittizietà delle operazioni indicate nelle fatture passive”.
In conclusione, secondo i giudici di legittimità, il rilascio del visto di conformità costituisce uno strumento idoneo a ostacolare l’attività accertativa dell’amministrazione finanziaria, conseguentemente il professionista che lo ha rilasciato potrebbe risponderne anche penalmente.
fonte fiscooggi.it