La costituzione nel territorio italiano del domicilio fiscale, pur in presenza della residenza in un Paese terzo, come il Regno Unito, non impedisce di considerare la cittadina italiana, chiaramente intenzionata ad avviare la sua unica attività professionale, quale soggetto passivo Iva alla stregua di un qualsiasi altro residente. Lo ribadisce l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 429 del 16 agosto 2022 resa a una cittadina italiana iscritta all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), intenzionata a svolgere un’attività libero-professionale in Italia, in relazione alla quale chiede se, all’apertura della partita Iva, può indicare come domicilio fiscale la sede di svolgimento della stessa nel Paese. Per l’Agenzia, inoltre, considerato che l’istante non esercita alcuna altra attività professionale o imprenditoriale, per dotarsi di una partita Iva ordinaria, dovrà indicare, nel modello AA9/12, il domicilio fiscale ossia il luogo dove sarà svolta l’attività lavorativa.
Nel dettaglio ricorda che, in linea generale, secondo l’articolo 7, lettera d), del decreto Iva (Dpr n. 633/1972), chi presta attività professionale si considera soggetto passivo Iva in Italia se:
1) è domiciliato in Italia, anche se residente all’estero
2) è residente in Italia e non è domiciliato all’estero
3) è domiciliato o residente all’estero ma possiede una stabile organizzazione in Italia, con la conseguenza, che, in presenza di uno di questi elementi, le prestazioni rese si considerano, in linea generale, effettuate in Italia.
Per completezza, poi, ai fini della definizione dei concetti di residenza e domicilio, l’Agenzia richiama la circolare n. 304/1997, con cui il ministero delle Finanze ha chiarito tra l’altro che:
– è irrilevante l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente ai fini dell’individuazione del soggetto passivo d’imposta in Italia
– la residenza è intesa quale res facti, poiché non può prescindere dall’insistere sul luogo, con relativa stabilità, del soggetto e l’elemento intenzionale assume rilevanza secondaria
– il domicilio è, invece, definito res iuris in quanto situazione giuridica caratterizzata dalla volontà di stabilire e conservare in un determinato luogo la sede principale dei propri affari ed interessi.
Nel caso posto alla sua attenzione, non v’è dubbio che l’intenzione dell’istante sia quella di costituire nel territorio italiano il centro dei propri interessi, e qui svolgere l’attività lavorativa. Pertanto, la circostanza che nel territorio italiano venga costituito il domicilio fiscale, pur in presenza della residenza in un paese terzo (Regno Unito), non è di ostacolo a considerare l’istante quale soggetto passivo di imposta alla stregua di un soggetto residente.
Infine osserva, che i redditi riconducibili all’attività svolta in Italia andranno ivi assoggettati a imposizione.
Infatti, l’articolo 14 della vigente convenzione tra Italia e Regno Unito, nell’assoggettare a imposizione i redditi provenienti “dall’esercizio di una libera professione o di altre attività di lavoro indipendente” esclusivamente nello Stato di residenza del contribuente, fa salvi i redditi che il beneficiario ottiene grazie a una “base fissa” posta nell’altro Stato contraente, ipotesi che rende applicabile un regime di tassazione concorrente in entrambi i Paesi e la successiva applicazione del credito d’imposta nel Paese di residenza per le imposte pagate all’estero.
fonte fiscooggi.it