La Corte di cassazione, richiamando anche l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, ha ribadito, con la sentenza n. 22727 dello scorso 20 luglio, che il diritto alla detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, per cui, anche in regime di reverse charge, in caso di dimostrata inesistenza dell’operazione, l’agevolazione è preclusa.
Nelle quattro puntate dell’approfondimento “Viaggio nel reverse charge sulla detraibilità dell’Iva”, pubblicate nel mese di febbraio di quest’anno, erano stati analizzati gli aspetti peculiari del meccanismo dell’inversione contabile.
Tale istituto comporta che l’acquirente, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato, è obbligato all’assolvimento dell’imposta, in luogo del cedente. Quest’ultimo è tenuto a emettere fattura senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti del decreto Iva (Dpr n. 633/1972) e con l’indicazione della norma che prevede l’applicazione dell’inversione contabile.
Obiettivo del reverse charge è quello di “trasformare” in debitore dell’Iva il cessionario, per rendere più complicata l’evasione dell’imposta, infatti l’uso di un meccanismo di inversione contabile comporta un minor rischio di spostamento della frode sul commercio al dettaglio.
Nel suindicato approfondimento era stata posta l’analisi sulla revisione del sistema sanzionatorio amministrativo, avvenuta con il decreto legislativo n. 158/2015, il quale ha introdotto delle modifiche alle sanzioni amministrative previste dal decreto legislativo n. 471/1997. Tale riforma ha revisionato anche la disciplina sanzionatoria del sistema dell’inversione contabile, in particolare novellando i commi 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3 dell’articolo 6 del suindicato decreto.
Il focus è stato posto sulle fatture per operazioni inesistenti in reverse charge, analizzando l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, ossia commentando la circolare n. 16/2016, più precisamente il paragrafo “5. Errata applicazione del sistema dell’inversione contabile ad operazioni esenti, non imponibili, non soggette ad imposta o inesistenti (art. 6, comma 9-bis.3)” oltre ad analizzare e commentare l’orientamento della giurisprudenza.
Alla fine della serie di approfondimenti si era arrivati alla conclusione che, passati vari anni dalla riforma, ci sono ancora interpretazioni contrastanti della disciplina, anche in relazione alla portata e all’ambito applicativo dell’articolo 6, commi 9-bis e successivi, del Dlgs n. 471/1997.
A dirimere il bandolo della matassa è intervenuta nei giorni passati, la sentenza n. 22727, pubblicata il 20 luglio 2022, delle sezioni unite della Cassazione.
I giudici di piazza Cavour hanno fornito delucidazioni in relazione alle fatture per operazioni inesistenti in reverse charge.
La vicenda processuale traeva origine da una verifica effettuata dalla Guardia di finanza e dal conseguente avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate a una società a responsabilità limitata, nel quale veniva contestato il mancato versamento dell’Iva, avendo accertato che la società aveva posto in essere operazioni di acquisto di rottami da privati indicati come non esercenti attività imprenditoriale. In realtà i fornitori erano soggetti passivi Iva, quindi, in violazione dell’assolvimento dell’Iva mediante il sistema del reverse charge.
Con ordinanza n. 1703/2022, pubblicata il 20 gennaio 2022, la sezione tributaria della Cassazione ha rimesso gli atti al primo presidente della Corte perché valutasse l’opportunità di devolvere alle sezioni unite “la soluzione della questione volta a verificare se, ed in quali limiti, alle operazioni inesistenti soggette al regime d’inversione contabile si applichi la normativa sanzionatoria sopravvenuta introdotta dal d.lgs. n.158/2015, che ha novellato l’art. 6 del d.lgs. n.471/1997, introducendo i commi 9- bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3”.
In altre parole, la sezione quinta ha chiesto l’intervento delle sezioni unite affinché fornissero chiarimenti in relazione alla rilevanza o meno della parte finale dell’articolo 6, comma 9-bis.3, alle fatture per operazioni inesistenti in reverse charge.
In particolare quest’ultimo comma prevede che “Se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”.
II secondo periodo dell’articolo 6, comma 9-bis.3 disciplina invece le ipotesi in cui l’errata applicazione dell’inversione contabile riguardi operazioni inesistenti, prevedendo che anche in questi casi si applichi la disposizione del primo periodo, con l’irrogazione della sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento.
Nella recentissima sentenza delle sezioni unite, i giudici hanno affermato “deve ritenersi che la prescritta neutralizzazione dell’IVA a credito e di quella a debito nell’ipotesi di inversione contabile prevista dalla prima parte dell’art. 6, c.9-bis.3 riguardi esclusivamente le operazioni inesistenti che siano astrattamente “esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta”, e non anche le operazioni inesistenti astrattamente imponibili per le quali non è ammesso il diritto a detrazione.”
La Corte, richiamando anche l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, ha ribadito che il diritto alla detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi la detrazione è preclusa.
Alla base di questa conclusione vi è il fatto che la presentazione di fatture per operazioni inesistenti, alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è atta a compromettere il funzionamento del sistema comune dell’Iva ed è equiparabile a una frode. Quest’ultima opera come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell’Iva.
Per un’analisi sistemica, bisogna tenere in considerazione anche la sentenza della Corte di giustizia Ce-Ue – Sentenza 11 novembre 2021, n. C-281/20, in cui vengono fornite delucidazioni riguardo l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti in reverse charge. In particolare, è stato chiarito che se non viene individuato il vero fornitore/prestatore, l’amministrazione finanziaria deve negare il diritto a detrarre l’Iva al committente, senza dover provare l’evasione. In estrema sintesi, si perde il diritto alla detrazione in quanto mancano i dati necessari per verificare che il fornitore/prestatore sia un soggetto passivo.
Alla fine del viaggio nel reverse charge sulla detraibilità dell’Iva, si può concludere che, secondo l’orientamento della giurisprudenza nazionale e comunitaria, è indetraibile l’Iva relativa a fatture per operazioni inesistenti in inversione contabile.
fonte fiscooggi.it