Per poter dedurre a pieno gli interessi passivi derivanti da finanziamenti erogati dalla propria casa madre, la stabile organizzazione deve avere un congruo fondo di dotazione, cioè una struttura patrimoniale, come una qualsiasi impresa indipendente. Lo prevedono le norme nazionali e sovranazionali e, di recente, lo ha confermato anche la Corte di cassazione.
La stabile organizzazione (branch), sotto il profilo giuridico, non è un’entità autonoma e distinta rispetto alla casa madre, della quale costituisce una mera diramazione, piuttosto è considerata un’entità separata solamente da un punto di vista fiscale, come desumibile sia dall’ordinamento domestico sia in ambito internazionale. Il Modello di convenzione contro le doppie imposizioni Ocse, all’articolo 5, definisce la stabile organizzazione, in particolare i primi quattro paragrafi definiscono la stabile organizzazione “materiale”, mentre i paragrafi da 5 a 6 “personale – agent clause”.
In ambito nazionale, la disciplina delle branch si trova nell’articolo 162 del Tuir, il quale, con l’espressione stabile organizzazione, comprende in particolare:
a) una sede di direzione
b) una succursale
c) un ufficio
d) un’officina
e) un laboratorio
f) una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali, anche in zone situate al di fuori delle acque territoriali in cui, in conformità al diritto internazionale consuetudinario e alla legislazione nazionale relativa all’esplorazione e allo sfruttamento di risorse naturali, lo Stato può esercitare diritti relativi al fondo del mare, al suo sottosuolo e alle risorse naturali
f-bis) una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato, costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.
Il comma 6 del richiamato articolo 162 definisce, invece, la stabile organizzazione “personale”, ovvero si considera che un’impresa non residente abbia una branch nel territorio dello Stato, quando un soggetto agisce nel territorio dello Stato per conto della suindicata impresa e, abitualmente, conclude contratti o opera ai fini della conclusione degli stessi senza modifiche sostanziali da parte di quest’ultima.
Per il diritto tributario internazionale la nozione di stabile organizzazione ha una rilevanza fondamentale, infatti, la configurazione di una branch consente allo Stato, in cui la stabile organizzazione è localizzata, di esercitare i propri diritti impositivi sul reddito prodotto nel proprio territorio.
Le regole di attribuzione del reddito alla branch sono rinvenibili nell’articolo 7 del Modello Ocse, il quale prevede di considerare gli utili attribuibili alla stabile organizzazione pari a quelli che genererebbe un’impresa giuridicamente indipendente e separata, con attività e funzioni simili.
Fulcro dell’approfondimento odierno è la deducibilità e congruità degli interessi passivi corrisposti dalla stabile organizzazione alla propria casa madre. Risulta evidente l’interesse dello Stato, in cui si trova la branch, nel valutare il rapporto esistente tra il fondo di dotazione, ossia i mezzi propri a essa attribuiti, e l’indebitamento. Infatti, l’insufficienza dei mezzi propri, e ancor peggio un forte squilibrio verso l’indebitamento nei confronti di casa madre, può determinare un trasferimento di reddito a beneficio dello Stato di residenza di quest’ultima, sotto forma di corresponsione di interessi passivi.
Il Commentario Ocse all’articolo 7 del Modello di convenzione precisa che è necessario che la stabile organizzazione sia dotata “di una struttura patrimoniale appropriata sia per l’impresa sia per le funzioni che esercita”.
Quindi, la stabile organizzazione deve avere un proprio fondo di dotazione, come qualsiasi impresa indipendente. Nel caso in cui non risulti dal suo bilancio, il fondo di dotazione deve essere determinato, ai soli fini fiscali, per stabilire se gli eventuali interessi passivi dedotti sono calcolati correttamente, così come avviene per le imprese indipendenti.
In relazione alla congruità del fondo di dotazione, l’amministrazione finanziaria si è già espressa nel 2006, con la risoluzione n. 44/E. In questo documento, anche a chiarimento di quanto affermato nella circolare n. 32/1980, relativa ai prezzi di trasferimento, veniva evidenziato che, preliminarmente, fosse necessario valutare la natura delle risorse messe a disposizione dalla casa madre alla propria stabile organizzazione, ovvero se e in che misura le stesse potessero essere considerate finanziamenti fruttiferi di interessi passivi deducibili dal reddito della branch stessa. Nel documento di prassi veniva chiarito che sono fiscalmente deducibili solo gli interessi derivanti da finanziamenti, che sarebbero stati accesi se la stabile organizzazione avesse potuto disporre di un fondo di dotazione congruo, in quanto corrispondenti agli interessi passivi che un’impresa indipendente avrebbe sostenuto.
L’Agenzia, con la suindicata risoluzione, ha altresì ricordato che è necessaria un’analisi dettagliata delle singole fattispecie, tenendo conto di principi condivisi in sede internazionale, per la determinazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione, che possa ritenersi congruo dal punto di vista fiscale. Al riguardo, per determinare la dotazione patrimoniale della stabile organizzazione bisognerebbe tenere in considerazione il grado di capitalizzazione della società nel suo complesso, ad esempio, in funzione delle attività esercitate dalla stabile organizzazione, delle immobilizzazioni materiali e immateriali di cui dispone e dei rischi assunti.
In relazione alla deducibilità degli interessi passivi si è appena espressa la quinta sezione della Cassazione, con l’ordinanza n. 22545, pubblicata il 18 luglio 2022.
La controversia verteva sul fatto che l’amministrazione finanziaria non ritenesse deducibili le spese di gestione per oneri finanziari, corrisposti da una stabile organizzazione italiana alla propria casa madre austriaca. La contestazione si fondava sul fatto che, dall’analisi del bilancio della branch, emergeva che la stessa non disponeva di capitale proprio e presentava un disavanzo del patrimonio netto. Quindi, con queste caratteristiche una società indipendente non avrebbe potuto avere un indebitamento equiparabile sul libero mercato dei capitali.
La Commissione tributaria di primo grado aveva condiviso le contestazioni dell’amministrazione finanziaria, evidenziando che la branch, non disponendo di alcun fondo di dotazione, nemmeno figurativo, oltre a trovarsi in una situazione patrimoniale negativa, sul libero mercato non avrebbe ottenuto alcun finanziamento corrispondente a quello erogato dalla propria casa madre.
Invece, la Commissione tributaria di secondo grado aveva accolto l’appello presentato dal contribuente.
Al contrario, secondo i giudici di Piazza Cavour, la situazione patrimoniale effettiva della stabile organizzazione, in ragione di quanto previsto del suindicato articolo 7 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con l’Austria il 29 giugno 1981, e ratificata dalla legge n. 762/1984, non consentiva la deducibilità fiscale degli interessi passivi, confermando il buon operato dell’amministrazione finanziaria.
La Cassazione ha ribadito che:
- da un punto di vista fiscale, la stabile organizzazione è un’entità distinta e autonoma rispetto alla casa madre, i cui redditi, prodotti nel territorio dello Stato, sono assoggettati a imposta (articolo 23, comma 1, lettera e), Tuir)
- l’articolo 7, della Convenzione contro le doppie imposizioni prevede che, quando un’impresa di uno Stato contraente svolge la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una branch, vanno attribuiti a quest’ultima gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata, che svolge attività quantomeno analoghe, in condizioni simili e in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile organizzazione
- secondo quanto chiarito dal Commentario Ocse, la stabile organizzazione deve essere dotata di una struttura patrimoniale appropriata sia per l’impresa sia per le funzioni che esercita.
La suprema Corte, in conclusione, ha stabilito che il principio di piena e libera concorrenza (arm’s length) è estendibile alla branch. Nel caso in cui quest’ultima sia sottocapitalizzata e usufruisca di ingenti finanziamenti dalla casa madre, i quali non risultano congrui al capitale di rischio, la deducibilità degli interessi passivi corrisposti è limitata.
fonte fiscooggi.it