Poiché l’articolo 23 comma 2-bis del Codice dell’Amministrazione digitale – il quale prevede che sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno tramite il quale è possibile accedere all’originale digitale per verificare la corrispondenza allo stesso della copia cartacea – è applicabile anche agli atti d’accertamento dell’Amministrazione finanziaria quest’ultima può legittimamente apporre detto contrassegno nella copia cartacea dell’originale informatico e notificare l’esemplare analogico privo di sottoscrizione autografa con i medesimi effetti che produrrebbe la notificazione del documento nativo digitale.
Così si è espressa la Commissione tributaria regionale della Liguria nella sentenza n. 471 del 19 maggio.
La vicenda processuale
Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Imperia l’avviso di accertamento con il quale erano stati rideterminati il suo reddito d’impresa e le maggiori imposte relative all’anno 2013, eccependo pregiudizialmente nel ricorso la mancata sottoscrizione e la carenza assoluta di motivazione dell’atto impositivo.
L’adito giudice accoglieva il gravame, ritenendo nullo l’avviso in quanto sottoscritto digitalmente ma notificato in via ordinaria in formato analogico.
Nell’atto di appello l’ufficio censurava il decisum di prime cure osservando, per quanto di più specifico interesse in questa sede, che l’accertamento, firmato digitalmente dal direttore provinciale, recava nella copia cartacea notificata all’interessato il contrassegno (codice QR), previsto dall’articolo 23, comma 2-bis, del Dlgs n. 82 del 2005 (“Codice dell’Amministrazione digitale” – Cad) tramite il quale sarebbe stato possibile accedere al documento informatico e quindi verificare la corrispondenza allo stesso dell’esemplare analogico.
La pronuncia del collegio regionale
Con la sentenza in rassegna, la Commissione tributaria regionale della Liguria ha ribaltato il verdetto di prime cure, rilevando che nella prima pagina dell’accertamento notificato, oltre al codice QR era presente altresì la sequenza di caratteri che consente di identificare univocamente l’indirizzo di un documento su una rete di computer (cosiddetto “url”), elementi tramite i quali sarebbe stato comunque possibile verificare la corrispondenza della copia all’originale firmato digitalmente.
Sul punto, ricorda l’odierno arresto, l’articolo 23 comma 2-bis del Cad dispone che: “Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno… tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico”.
Pertanto, prosegue il Collegio ligure, poiché l’applicabilità delle norme del Cad all’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria risulta pacifica, l’ufficio può inserire l’asseverazione o il contrassegno di cui trattasi nella copia cartacea dell’originale informatico dell’avviso d’accertamento, affinché detta copia abbia la medesima efficacia probatoria del documento informatico originale e di conseguenza l’apposizione di detto contrassegno “permette all’Amministrazione finanziaria di notificare via posta, al contribuente, la mera copia cartacea, priva di sottoscrizione autografa, dell’avviso d’accertamento informatico firmato digitalmente, con i medesimi effetti che produrrebbe la notificazione del documento informatico originale”.
Osservazioni
Come ricordato dalla Cassazione in alcune recenti pronunce, la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento alla disciplina unionale “impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici” (cfr Cassazione nn. 21712, 12217, 1530, tutte del 2022; 32692, 31087, 30056 del 2021).
Ricordato che, anche ai sensi dell’articolo 40 del Cad, le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici, e che lo strumento con il quale è possibile procedere alla notificazione di un documento informatico, anche ove sottoscritto digitalmente, è la posta elettronica certificata, il problema che il legislatore ha dovuto affrontare è stato quello di salvaguardare la posizione dei soggetti che non disponendo di un indirizzo Pec possono essere destinatari soltanto di atti in tradizionale formato cartaceo.
Attualmente, per gli atti tributari, la notificazione in modalità “ordinaria” (non Pec) avviene trasmettendo al destinatario copia analogica con contrassegno elettronico (o “glifo” oppure “timbro digitale”), consistente in un codice grafico bidimensionale, generato elettronicamente, che viene stampato sulla copia analogica del documento amministrativo principale firmato digitalmente.
Come precisato, il glifo consente di accedere al documento informatico e di verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica e, ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 23 del Cad, sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale.
Anteriormente all’avvento del glifo, era stata posta in discussione la legittimità degli atti impositivi emessi in formato nativo elettronico sottoscritto digitalmente e notificati in copia cartacea dichiarata conforme all’originale.
Nel periodo di vigenza dell’articolo 2, comma 6, del Cad compreso tra il 14 settembre 2016, e sino alle modifiche apportate a detta norma dall’articolo 2, del Dlgs n. 217 del 2017, in vigore dal 27 gennaio 2018, la citata previsione del “Codice” era infatti formulata in modo tale – nello specifico laddove stabiliva che “Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica…” – da ingenerare dubbi circa la sua applicabilità anche agli atti accertativi emessi dall’amministrazione finanziaria.
L’acceso dibattito ermeneutico che aveva condotto a soluzioni anche diametralmente opposte presso le Commissioni tributarie, è stato poi risolto dalla suprema Corte che, nelle sentenze n. 1150 e n. 1557 del 2021, ha concluso per la piena legittimità degli atti tributari emessi e sottoscritti in modalità informatica, notificati in copia analogica attestata conforme all’originale nel periodo, compreso tra il 14 settembre 2016 ed il 26 gennaio 2018, in cui come accennato la disciplina di riferimento presentava aspetti interpretativi dubbi.
L’odierna pronuncia, toccando un profilo diverso, seppur connesso a quello esaminato dal Collegio di nomofilachìa, costituisce dunque un ulteriore tassello verso l’ormai pacifico riconoscimento della possibilità di utilizzo delle modalità elettroniche per la formazione e la sottoscrizione dei documenti amministrativi ed al contempo della correttezza dell’operato dell’ufficio il quale, dovendo indirizzare l’atto a soggetto non in grado di riceverne copia informatica, provveda a produrre copia cartacea contenente riferimenti formali (QR code o indicazione dell’url) che consentano all’interessato di verificare la conformità dell’esemplare analogico ricevuto all’originale formato dall’organo procedente.
fonte fiscooggi.it