L’amministrazione finanziaria può contestare un credito esposto in dichiarazione anche qualora siano decorsi i termini per l’accertamento, senza che abbia emesso alcun provvedimento, in quanto la sua inerzia non equivale a un implicito riconoscimento del credito stesso, che si può verificare soltanto in caso di un comportamento positivo dell’amministrazione stessa.
Questo il principio desumibile dalla sentenza della Corte di cassazione n. 18710 del 10 giugno 2022.
La vicenda processuale
Il Fisco emetteva un atto di diniego espresso della richiesta di rimborso di un credito Iva della contribuente, in ragione dell’inidoneità della documentazione prodotta dalla stessa.
La parte privata impugnava, presso la suprema Corte, la sentenza n. 506/03/2017 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, che aveva respinto il suo appello.
La pronuncia
La Cassazione, nel respingere il ricorso della contribuente, ha confermato la sentenza d’appello e la legittimità della posizione dell’Erario chiarendo che: “… poiché nel caso in esame viene in rilievo una contestazione dell’Ufficio avente ad oggetto la sussistenza della posta detraibile esposta in dichiarazione, in relazione alla asserita mancanza dei relativi fatti costitutivi, la decisione della Commissione regionale, che ha riconosciuto il potere dell’Amministrazione di procedere ad una siffatta contestazione, pur essendo decorsi i termini per l’esercizio del controllo formale della dichiarazione senza l’emanazione di alcun provvedimento, si sottrae alla censura prospettata … ”; evidenzia poi, come conseguenza, che: “… l’inerzia dell’Amministrazione non può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l’assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell’amministrazione di attivarsi, derivante anche dalla combinazione dell’art. 6, secondo e quinto commi, l. 27 luglio 2000, n. 212” e, anzi, precisa che: “al contrario, il legislatore prende in considerazione l’inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile …” per concludere infine, sul punto, che: “l’omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato”.
Osservazioni
I crediti d’imposta espressi in dichiarazione possono essere (salvo che le singole disposizioni di settore non stabiliscano diversamente) chiesti a rimborso oppure utilizzati in compensazione con altri debiti.
Tuttavia, ciò non basta ai fini della spettanza del credito, come non è neanche sufficiente il decorso dei termini per l’attività di controllo formale o sostanziale della dichiarazione.
La sentenza in commento, nel confermare la legittimità delle precedenti pronunce di merito di conferma della fondatezza dell’operato dell’amministrazione finanziaria, ribadisce le posizioni già espresse dalla suprema Corte.
Infatti, le sezioni unite, con la sentenza n. 21766/2021, dopo aver rilevato che “… in tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento …” hanno stabilito che, se da una parte “l’amministrazione, che sia decaduta dai propri poteri di accertamento e rettifica, non può pretendere un’imposta maggiore di quella liquidata in dichiarazione”, dall’altra “il credito che nasca, invece, … dal coacervo delle poste detraibili che prevalgano sul debito, e che quindi eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistano i fatti generatori, sicché non è sufficiente che sia esposto in dichiarazione, né è necessario che sia accertato dall’amministrazione”.
Lo spirare dei termini per l’esercizio del potere di controllo e di accertamento produce effetti solo sulla possibilità di richiedere un maggior debito d’imposta al contribuente rispetto a quanto dichiarato, dato che tale potere si concreta in un’attività positiva del Fisco, ma non ostacola quest’ultimo nella possibilità di contestare un elemento già presente nella dichiarazione e richiesto dal contribuente come appunto un credito, visto che in questo caso si è in presenza di un attività negativa dell’amministrazione, la quale non rettifica né richiede nulla, ma si limita al disconoscimento di qualcosa che già c’è e che invece le viene chiesto dalla parte privata. Proprio per tale ragione, l’inerzia non equivale a un riconoscimento del credito, ma costituisce silenzio-rigetto.
Di conseguenza, come stabilito dagli stessi giudici di legittimità “l’omesso esercizio del potere di controllo non determina alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato” (cfr anche Cassazione n. 8500/2021); al contrario, proseguono i supremi giudici “ritenere incontrovertibile il credito soltanto perché è indicato in una dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell’azione impositiva, presidiata dai precetti della riserva di legge (art. 23 Cost.), del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), e anche dell’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.)”.
Tra l’altro, chiariscono le sezioni unite, la dichiarazione non costituisce di per sé il presupposto di un rimborso in quanto “già sul piano logico non è certo agevole costruire come titolo di un diritto, in quanto tale tendenzialmente stabile, la dichiarazione fiscale, fisiologicamente instabile, perché emendabile in ogni tempo … anche direttamente in sede contenziosa, in caso di errori di fatto o di diritto, che abbiano determinato l’indicazione di un maggior debito o di un minor credito d’imposta”. Né vi è mancanza di tutela del contribuente, in quanto lo stesso ha sempre la possibilità di dimostrare, nel rispetto del principio di capacità contributiva, l’assenza di presupposti d’imposta erroneamente dichiarati e di presentare, nei termini, l’istanza di rimborso per l’inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. Infatti, non vi è asimmetria di posizioni in quanto, rileva la suprema Corte, “… il fisco può contestare in ogni tempo il proprio debito, ossia la sussistenza del diritto al rimborso che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta; ma il contribuente può far valere, anche direttamente in sede contenziosa – salvo il limite suindicato -, l’errore di fatto o di diritto che abbia infirmato la propria dichiarazione”. A ciò si aggiunga, come rilevato dalla stessa Corte, che il silenzio-rifiuto opposto all’istanza costituisce atto impugnabile. Tale impostazione è, altresì, coerente con i principi comunitari, evidenziando i giudici che “proprio la possibilità per l’amministrazione di contestare la sussistenza del credito indipendentemente dal decorso del termine di decadenza contemplato dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/72 è volta a scongiurare il riconoscimento di crediti iva inesistenti, che, questo sì, si porrebbe in contrasto col principio di neutralità”.
Né, infine, contrasto alcuno può esservi con i principi costituzionali. A tal proposito la Cassazione ha chiarito che “quanto agli artt. 23 e 53 Cost. è proprio l’applicazione dei principi ivi stabiliti che esclude la rilevanza della dichiarazione come titolo costitutivo del diritto al rimborso, anche in ipotesi di crediti inesistenti”.
Inoltre, la recentissima sentenza n. 11698/2022, nel ribadire i principi espressi dalle sezioni unite, ha stabilito che quanto detto sopra si applica anche nel caso di compensazione. Infatti, anche qui non si chiede una maggiore imposta, ma si disconosce sempre un’azione posta in essere dal contribuente, la cui legittimità e fondatezza il Fisco è chiamato, in quanto autorità nazionale di tutela del credito tributario, a controllare. I supremi giudici hanno confermato l’assonanza tra le due fattispecie (rimborso e compensazione) chiarendo che “… quanto all’art. 3 Cost., il sistema complessivo, che prevede la possibilità di rettificare in ogni tempo la dichiarazione errata in fatto o in diritto – salvo che non si siano verificate le decadenze previste dalla legge – , la facoltà di presentare istanza di rimborso nonostante si sia dichiarato l’obbligo di versamento del tributo, e la possibilità di scegliere di riportare reiteratamente a nuovo il credito, non consente di ravvisare alcuna discriminazione; in particolare, non v’è discriminazione alcuna tra chi riporta a nuovo il credito e chi, invece, lo chiede a rimborso, in quanto in entrambi i casi i crediti sono soggetti al potere di contestazione del fisco; – quanto all’art. 97 Cost., la condotta dell’amministrazione di contestazione dell’esistenza di crediti risponde all’obbligo, su di essa gravante, di assicurare la riscossione dell’iva dovuta”.
fonte fiscooggi.it