La Ctr del Lazio, con la sentenza n. 2522 del 3 giugno 2022, ha chiarito che l’impugnazione di atti esecutivi in materia tributaria, compreso il pignoramento presso terzi, sostanzia un’opposizione agli atti esecutivi, quindi, la competenza a conoscere del ricorso è del giudice ordinario, a meno che al contribuente non sia stato notificato alcun atto presupposto e che il pignoramento rappresenti il primo atto in cui l’amministrazione finanziaria manifesti la volontà di procedere alla riscossione di un credito.
Un contribuente proponeva ricorso, avanti alla Ctp di Roma, contro il pignoramento di un proprio credito presso terzi, disposto dall’Agenzia delle entrate, per il mancato pagamento di debiti tributari, già evidenziati in precedenti cartelle di pagamento.
In particolare, il ricorrente opponeva l’inesistenza della notifica del provvedimento in quanto notificato tramite ricorso a una una società di consegne privata, la nullità dell’atto in quanto firmato da persona non abilitata a rappresentare l’ente e il difetto di motivazione, con particolare riferimento alla mancata esplicitazione delle modalità di calcolo degli interessi.
Il Collegio capitolino accoglieva il ricorso, argomentando che il servizio di notifica degli atti provenienti da un’amministrazione pubblica dovesse essere effettuato in esclusiva da Poste italiane e non da operatori privati.
Il deliberato di prime cure veniva appellato dall’Agenzia delle entrate-Riscossione, che, nel lamentare l’omessa pronuncia sull’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione, sosteneva che, in materia tributaria, gli atti della fase esecutiva potessero essere impugnati davanti alle Commissioni tributarie nella sola ipotesi in cui il ricorrente lamentasse la mancata notifica di atti presupposti, essendo altrimenti competente il giudice ordinario.
La decisione
La Ctr laziale, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia, richiama il precedente giurisprudenziale della Corte di cassazione, espresso nella sua composizione più autorevole (cfr sezioni unite, sentenza n. 13913/2017), secondo cui l’impugnazione di atti esecutivi in materia tributaria, compreso il pignoramento presso terzi, va qualificata come opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 cpc e proposta, quindi, dinanzi al giudice ordinario, a eccezione dell’ipotesi in cui non sia stato notificato al contribuente alcun atto presupposto, e che il pignoramento rappresenti, allora, il primo atto in cui l’ufficio manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un asserito credito.
Ciò posto, osserva la Ctr, nel caso di specie la circostanza era pacifica essendo stato lo stesso contribuente a dichiarare, già nel ricorso in primo grado, di aver già ricevuto le cartelle di pagamento relative al credito in questione, e di aver instaurato un contenzioso giudiziario sulla legittimità delle stesse.
Conclusioni
La questione di giurisdizione, affrontata dal Collegio regionale laziale, è stata ampiamente scrutinata da molteplici sentenze della Cassazione, sovente a sezioni unite.
Ebbene, in sintesi, atteso che è la natura dell’atto impugnato a orientare la giurisdizione da adire, la giurisdizione tributaria conosce delle questioni che siano riconducibili a fatti e circostanze che incidano direttamente sulla pretesa impositiva azionata dall’Amministrazione finanziaria.
Il giudice tributario, in sostanza, conosce di tutti gli atti notificati, fino alla cartella di pagamento, aventi ad oggetto “tributi di ogni genere e specie comunque denominati” (cfr articolo 2, comma 1 Dlgs n. 546/1992), con eccezioni di rilievo, segnalate dalla stessa Ctr del Lazio, ma ancor prima da plurime pronunce della Cassazione.
In questo senso, ha chiarito autorevole giurisprudenza di legittimità, l’atto di pignoramento “non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento integra … il primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario e pertanto, in quanto idoneo a far sorgere l’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., rientra nell’ambito degli atti impugnabili davanti al giudice tributario in forza dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (quale interpretato estensivamente dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte: ex plurimis, Sezioni Unite n. 9570 e n. 3773 del 2014)” (cfr. Cass., sez. Unite 7822/2020).
Ugualmente, continua la sentenza da ultimo citata, “in materia di esecuzione forzata tributaria, l’opposizione agli atti esecutivi riguardante l’atto di pignoramento, che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti dal pignoramento), è ammissibile e va proposta — ai sensi degli artt. 2, comma 1, secondo periodo, 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 617 cod. proc. civ. — davanti al giudice tributario”.
Ecco che, quindi, se il contribuente contesta la notifica della cartella di pagamento precedente il pignoramento, la giurisdizione rimane in capo al giudice tributario, atteso che il pignoramento è il primo atto con il quale il contribuente conosce della pretesa tributaria.
Diversamente, sempre ai sensi del citato articolo 2, comma 1, Dlgs n. 546/1992, rientrano nella cognizione del giudice ordinario gli atti esecutivi “in senso stretto” (ex articolo 49 ss, Dpr n. 602/1973), successivi alla cartella di pagamento notificata, che afferiscono alla fase di esecuzione forzata e contro i quali l’esecutato può opporre unicamente vizi che riguardino l’atto esecutivo, ma non può censurare il merito della pretesa tributaria.
fonte fiscooggi.it