La Commissione tributaria regionale Toscana, con la sentenza n. 652 del 5 maggio 2022, ha escluso l’applicazione generalizzata della categoria catastale “E” a tutti gli immobili ricompresi dentro un interporto, negando l’esistenza di servizio di “interesse pubblico” genericamente svolto dall’interporto stesso.
Deve premettersi che la categoria catastale “E” ha natura agevolativa, in quanto presupposto di esenzioni di varia natura: ad esempio, l’articolo 7, comma 1, lettera b, Dlgs n. 504/1992 – stabilisce che sono esenti dall’Imu tutti “i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9”. La spettanza di tale categoria, quindi, è subordinata al ricorrere di particolari e stringenti condizioni e deve senz’altro essere esclusa – come ricordano i giudici fiorentini – nel caso di “immobili che abbiano una capacità reddituale autonoma. Ai sensi dell’art. 2 comma 40 D.L. 262/2006 in tale categoria non possono ricomprendersi immobili che presentino autonomia funzionale e reddituale”.
Difatti, l’articolo 2 del citato Dl n. 262/2006, aveva espressamente disposto l’aggiornamento, da parte dei titolari, della classificazione delle unità immobiliari polifunzionali censite nelle categorie catastali del gruppo E, stabilendo che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E1/, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad uffici privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale o reddituale”.
Nel caso sottoposto alla Commissione regionale fiorentina, il contribuente invocava invece una sorta di presunzione d’uso in favore degli interporti, “che impedisce di poterli considerare, salvo prova contraria, come entità che svolgono funzioni autonome e non strettamente connesse con il trasporto merci. Quindi, per il solo fatto di essere ricompresi nel perimetro dell’Interporto dovrebbero beneficiare dell’accatastamento in categoria E”.
Nonostante le suggestioni sollevate dell’appellante (il quale sosteneva che gli immobili accatastati fossero, tutti, strettamente “funzionali al servizio pubblico”), la Ctr è rimasta ferrea nel subordinare la concessione dell’anzidetta categoria – che ha natura agevolativa – alla prova, di cui è onerato il contribuente, circa le caratteristiche peculiari di ciascuna unità immobiliare, ricordando espressamente che l’individuazione della categoria non può essere attribuita in virtù di un interesse pubblico astrattamente considerato: “occorre considerare l’effettiva e concreta destinazione funzionale di ciascun immobile”, superando “il criterio c.d. localizzativo a favore della destinazione “effettiva e reale””.
In effetti, l’impostazione seguita dalla società riecheggiava proprio il criterio di accatastamento “localizzativo”, in forza del quale tutti gli immobili appartenenti a un dato compendio immobiliare – solo perché ricompresi nel perimetro geografico di tale compendio – possono esser accatastati uniformemente, in virtù di una sorta di destinazione unitaria comune.
Invece, come chiarito dalla Corte suprema con specifico riferimento alla analoga fattispecie degli immobili ferroviari ricompresi nell’area di una stazione, occorre superare “la nozione geografica di “recinto” per tener conto “della destinazione funzionale e delle caratteristiche proprie di ciascuna unità immobiliare, in conformità a quanto stabilito dalla normativa catastale: cioè sono “da ricomprendere nell’unità immobiliare – stazione esclusivamente gli immobili o loro porzioni strumentali all’attività di trasporto…” (Cassazione, pronuncia n. 1704/2016).
Dunque, ai fini dell’accatastamento in categoria “E” non deve aversi riguardo alla mera ricomprensione degli immobili nell’ambito di un luogo fisico (il “recinto stazione”, ovvero l’area “interporto”), dovendosi invece verificare la destinazione funzionale di ciascuna unità oggetto di accatastamento.
In questa prospettiva, nella sentenza in commento la Commissione regionale toscana ha puntualizzato che “nella realtà fattuale dell’Interporto vi sono immobili destinati a pubblico trasporto e, pertanto, classificati in E/1 e altri immobili che hanno destinazioni diverse quali stoccaggio di merci, uffici, attività commerciali. Ad esempio, le officine svolgono riparazioni meccaniche non solo per i mezzi di trasporto; un locale è affittato ad un’attività di ristorazione, un altro ad un privato che commercia carne…”.
In effetti, gli immobili oggetto di accertamento – come appurato a seguito di sopralluogo – costituivano fabbricati autonomi, sia strutturalmente che fisicamente, in vari casi con destinazione d’uso “collegata” alla custodia e allo smistamento delle merci all’interno dell’area interportuale, ma aventi a oggetto un’attività economica “collaterale”, gestita da soggetti terzi svolgenti attività d’impresa (gli spedizionieri) non riconducibile alla finalità di interesse pubblico dello scalo interportuale.
Altrimenti opinando, tutti gli edifici posseduti da enti a compartecipazione pubblica dovrebbero indiscriminatamente beneficiare delle esenzioni scaturenti dalla categoria “E” e così non è: occorre concretamente appurare il collegamento funzionale dell’immobile con la finalità pubblicistica perseguita.
Questo è esattamente l’orientamento della Cassazione, che ha negato la spettanza della categoria catastale “E” nei seguenti casi:
- il complesso immobiliare utilizzato per la gestione di un metanodotto (Cassazione, n. 23608/2008)
- i parchi eolici costitutivi di una centrale elettrica (Cassazione, n. 24820/2014)
- gli immobili della rete ferroviaria Italiana spa, seppur facenti parte dello scalo ferroviario (Cassazione, n. 1704/2016)
- le aree demaniali portuali scoperte, utilizzate per la movimentazione e il deposito delle merci (Cassazione, n. 20259/2017)
- l’unità immobiliare “destinata ad ospitare la cabina di manovra a servizio della seggiovia quadriposto…” (Cassazione, n. 1445/2017)
- “una discarica pubblica, oggetto di sfruttamento economico per la gestione di rifiuti solidi urbani e la captazione di biogas” (Cassazione, n. 17022/2020)
- il “mercato ortofrutticolo, essendo destinato allo scambio di merci all’ingrosso” (Cassazione, n. 2038/2022)
- gli immobili costituenti un terminal portuale adibito al deposito e alla movimentazione di merce, oggetto di concessione demaniale marittima (Cassazione, n. 23067/2019)
- gli impianti di risalita al servizio di piste sciistiche, come le sciovie, le funivie e le seggiovie, laddove non “siano destinati prevalentemente, sul piano funzionale, alle esigenze di mobilità generale della collettività” (Cassazione, n. 4837/2020).
Analogamente, come appurato dai giudici toscani con la sentenza in commento, non può essere predicato un accatastamento “generale” per tutti gli immobili ricompresi nell’area interportuale, presumendone una correlazione allo scambio di merci e, quindi, al perseguimento di un interesse pubblico, che deve invece esser verificato caso per caso.
fonte fiscooggi.it