La notifica a mezzo posta elettronica certificata della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio Pec un documento informatico, costituito dal duplicato informatico dell’atto originario “nativo digitale”, sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di un documento in originale cartaceo (“copia informatica”).
Questo il principio interpretativo ribadito dalla Corte suprema con l’ordinanza n. 19216 dello scorso 15 giugno, ove è stata altresì confermata la regula iuris per la quale, in caso di notifica a mezzo Pec, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso.
La vicenda processuale
Una società impugnava la cartella di pagamento emessa a suo carico a seguito di controllo automatizzato ai sensi degli articoli 36-bis del Dpr n. 600/1973 e 54-bis del Dpr n. 633/1972.
Il verdetto di prime cure, sfavorevole al contribuente, veniva confermato dalla Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 4494/9/2020 del 7 ottobre 2020.
Nel ricorso dinanzi alla Corte suprema, per quanto di più specifico interesse in questa sede, la parte privata censurava la pronuncia del collegio regionale per non aver dichiarato l’inesistenza della notifica dell’atto della riscossione perché, a suo dire, mancante di attestazione di conformità dell’atto analogico a quello digitale notificato e perché privo di “firma digitale” essendo stato trasmesso all’interessato in formato .pdf.
La pronuncia della Corte
La Corte ha disatteso il riferito motivo di censura, ricapitolando, innanzitutto, il quadro normativo di riferimento e osservando al riguardo che, ai sensi dell’articolo 26, secondo comma, del Dpr n. 602/1973, vigente ratione temporis, la notifica della cartella di pagamento “può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge”, e che l’articolo 1, comma 2, lettera f), del citato Dpr n. 68/2005, dispone che si considera messaggio di posta elettronica certificata “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”.
Inoltre, ricordano i giudici di piazza Cavour, ai sensi del Dlgs n. 82/2005 – Codice dell’Amministrazione digitale (Cad), la copia per immagine su supporto informatico del documento analogico consiste nel “documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto” (articolo 1, comma 1, lettera i-ter), mentre per duplicato informatico si intende “il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario” (successiva lettera i-quinquies).
Dal combinato disposto delle riferite norme, spiega dunque l’ordinanza in esame, deriva che la notificazione elettronica della cartella di pagamento “può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)”.
Inoltre, si legge nell’arresto in commento, in caso di notifica a mezzo Pec, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso, motivo per cui non è richiesto che il file trasmesso abbia estensione .p7m.
Osservazioni
L’impiego degli strumenti telematici per la notificazione degli atti in ambito tributario costituisce un dato di fatto di sempre maggiore diffusione.
Se, per quanto riguarda il processo dinanzi alla Commissioni tributarie, la legge prevede addirittura l’obbligatorietà, salvo rare eccezioni, dell’utilizzo dello strumento telematico (l’articolo 16, comma 3, del Dlgs n. 546/1992 stabilisce infatti che “Le parti, i consulenti e gli organi tecnici … notificano e depositano gli atti processuali i documenti e i provvedimenti giurisdizionali esclusivamente con modalità telematiche, secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163, e nei successivi decreti di attuazione”), anche con riguardo agli atti del procedimento amministrativo tributario la norma, oramai da diversi anni, ha attribuito agli uffici la facoltà di procedere alla notificazione attraverso la posta elettronica certificata.
L’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, al settimo comma (introdotto dall’articolo 7-quater del Dl n. 193/2016, convertito dalla legge n. 225 dello stesso anno ed efficace a decorrere dal 1º luglio 2017), ha previsto che la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato “può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC)”, stabilendo altresì che, “per i soggetti diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, la notificazione può essere eseguita a coloro che ne facciano richiesta, all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui sono intestatari…”.
In precedenza, l’utilizzo della Pec per la notificazione era previsto per le cartelle di pagamento dall’articolo 26 del Dpr n. 602/1973, norma oggetto del contenzioso di cui alla pronuncia in rassegna.
Proprio in ordine alla portata di detto articolo 26 si è assistito, negli anni, a un vivace dibattito interpretativo che ha condotto diverse Commissioni tributarie a ritenere invalida la cartella notificata a mezzo posta elettronica certificata in formato diverso dal .p7m.
La questione, portata all’attenzione del Collegio di nomofilachìa, è stata risolta attraverso il richiamo della giurisprudenza secondo la quale la “sottoscrizione digitale” di un atto sussiste non soltanto quando il relativo file abbia estensione .p7m (firma Cades), ma anche laddove il documento si presenti con formato .pdf (firma Pades), precisando che in entrambi i casi la firma si deve ritenere certificata (da ultimo, Cassazione, n. 12016 e n. 5790 del 2022).
Nella pronuncia da ultimo citata, la Corte ha più specificamente rilevato che, in fattispecie in cui l’agente della riscossione aveva provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica il file in formato .pdf della scansione di una cartella composta in origine su carta, è stata esclusa l’illegittimità della notifica “per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico”.
L’ordinanza in commento conferma, quindi, una regola interpretativa che appare decisamente consolidata e che, come tale, dovrebbe contribuire a evitare che sull’argomento si registrino posizioni discordanti da parte dei collegi tributari di merito.
fonte fiscooggi.it