Canali ‘informali’ vincenti per entrare nel mercato occupazionale italiano: negli ultimi dieci anni, infatti, “quasi un lavoratore su quattro (il 23%)” ha trovato impiego tramite amici, parenti, o conoscenti, il 9% attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo.
E, globalmente, “tra il 2011 e il 2021” il cosiddetto ‘passaparola’ ha fatto nascere “il 56% dell’occupazione”, pari a “circa 4,8 milioni di posti” sottratti alla intermediazione “palese”.
È quanto affiora da uno studio dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), che prende in esame i dati dell’indagine Inapp-Plus, che da oltre 15 anni analizza la dinamica dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; lo studio viene illustrato oggi, a Bologna, nella giornata di apertura del Festival del lavoro, promosso dal Consiglio nazionale e dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro.
Tra i canali formali, viene sottolineato, “si riduce il ruolo dei concorsi pubblici (10% per chi ha trovato lavoro, sette punti percentuali in meno, rispetto a dieci anni prima), effetto della riduzione del perimetro del settore e del blocco del ‘turn-over’ nella Pa. Si registra, inoltre, un crescente (ma sempre inferiore rispetto ai principali canali informali) ricorso alle agenzie private e ai ‘job center’ delle istituzioni scolastiche e formative, andamento, evidenzia l’Inapp, “dovuto anche alla loro più recente istituzionalizzazione”. Per il presidente dell’Istituto Sebastiano Fadda, “la prevalenza dell’accesso all’occupazione tramite i canali informali rappresenta ormai un tratto strutturale” del mercato, con “distorsioni rilevanti sulla qualità dell’allocazione delle risorse umane. I dati mostrano che i canali formali (a parte i concorsi pubblici, ci si riferisce prevalentemente ai centri per l’impiego) intermediano le posizioni lavorative meno retribuite e caratterizzate da bassi livelli di istruzione”. E, dunque, incalza, “chiudendo, di fatto, i canali formali di accesso pubblico alle posizioni migliori si restringe il campo della contendibilità, e si riduce l’area di scelta per gli stessi datori di lavoro, compromettendo spesso la valorizzazione del merito”, e il funzionamento del cosiddetto “ascensore sociale”.
fonte ansa.it