Un briefing dell’Agenzia europea dell’Ambiente (AEA) esamina il ruolo delle imposte ambientali attraverso due obiettivi. In primo luogo, analizza le tendenze passate e attuali nello spostare la tassazione dal lavoro e dal capitale all’uso e al consumo delle risorse e all’inquinamento ambientale. In secondo luogo, considera la possibilità di generare entrate-extra dalle tasse sull’energia e dal prezzo del carbonio nel prossimo decennio e il loro ruolo nel raggiungimento dell’obiettivo dell’Ue di essere climaticamente neutrale entro il 2050.
Prima di entrare nel dettaglio del briefing è però necessaria una premessa che spiega anche il perché e l’utilità di un tale approfondimento. Secondo una recente analisi dell’International Energy Agency (IEA), le emissioni globali di anidride carbonica legate all’energia sono aumentate del 6% nel 2021 raggiungendo i 36,3 miliardi di tonnellate, il livello più alto di sempre, una sorta di effetto rimbalzo dell’economia mondiale in forte ripresa rispetto alla crisi Covid-19. In particolare, nel 2021 le economie hanno fatto molto affidamento sul carbone per alimentare tale crescita. Il risultato è che oggi, le emissioni di CO2 nelle economie avanzate sono pari in media a 8,2 tonnellate per individuo.
Le imposte verdi ora
Secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente, il gettito delle tasse ambientali potrebbe sostenere in modo spedito la transizione verso un’economia climaticamente neutra entro il 2050 e il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo di riduzione netta delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. E questo perché l’invecchiamento della popolazione europea e le implicazioni che ciò comporta per il gettito delle entrate fiscali dal lavoro e per i costi del sistema del welfare rendono la tassazione “verde” sempre più mirata e indispensabile. Tuttavia, la decarbonizzazione dell’economia europea eroderà inevitabilmente la base imponibile, poiché l’attuale tassazione dell’energia e delle fonti di emissione del carbonio dipendono fortemente da prodotti energetici non rinnovabili. Sarà quindi essenziale trovare il giusto equilibrio tra il raggiungimento degli obiettivi di transizione e il mantenimento d’una base imponibile soddisfacente per il gettito che origina. In sostanza, si tratta di gettare le basi adesso d’una riforma fiscale che non solo guardi ma garantisca un futuro sostenibile. Gli attuali sistemi fiscali dovranno essere revisionati e modernizzati per far fronte alle sfide ambientali, sociali ed economiche prevalenti. Queste sfide includono la transizione tecnologica, i cambiamenti demografici, la crescente disuguaglianza e la triplice crisi ambientale: cambiamento climatico, perdita di biodiversità e consumo eccessivo di risorse naturali. In particolare, si dovrà trovare il modo di porre fine ai costosi sussidi che ancora sono appannaggio di settori e aziende decisamente dannose rispetto all’ambiente.
Andamento delle entrate fiscali ambientali
Il trend delle entrate fiscali ambientali presenta un quadro diversificato in Europa. A livello dei 27 Stati membri dell’UE (Ue-27), le entrate fiscali ambientali sono aumentate del 18%, da 253 miliardi di euro nel 2002 a 298 miliardi nel 2019. Tuttavia, questa crescita è stata inferiore all’aumento del Pil (26%) e del gettito fiscale totale (31%). Dunque, le tasse ambientali hanno prodotto sì più gettito in valore assoluto, ma in termini relativi, percentuali, il risultato ci dice il contrario, ovvero, c’è stato un calo rispetto al Pil e anche a confronto con le entrate tributarie generali. In sintesi, riporta il briefing, le entrate sono aumentate nella maggior parte degli Stati membri dell’Ue in valore assoluto. Ad esempio, sono più che raddoppiate in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Polonia e Slovacchia tra il 2002 e il 2019, mentre sono diminuite in Danimarca, Germania, Norvegia e Portogallo di circa il 5-15%. In generale, nel periodo di riferimento indicato, in 12 Stati membri Ue, tra cui l’Italia, il carico fiscale si è spostato dal lavoro all’ambiente tramite il rafforzamento o l’introduzione di tasse sull’inquinamento e sull’uso delle risorse, consentendo così alle entrate fiscali ambientali di aumentate più delle entrate fiscali sul lavoro. È vero il contrario nei restanti 15 Stati membri dell’Ue.
Qual è il ruolo delle entrate fiscali ambientali nella transizione alla decarbonizzazione?
Il report evidenzia che molteplici processi di transizione hanno implicazioni fiscali per i contribuenti e per il bilancio pubblico. Tuttavia, la mancata transizione verso la sostenibilità avrebbe anche implicazioni fiscali, ovvero ci sarebbero anche costi in più da sostenere determinati dall’inazione a fronte d’un cambiamento climatico incontrollato e dagli effetti che può produrre. In tale contesto, sarà fondamentale l’evoluzione del quadro europeo della tassazione sul carbonio e dei sistemi di scambio di quote di emissione, tutte misure di politica fiscale ambientale che svolgono un ruolo centrale negli sforzi di decarbonizzazione inclusi nel pacchetto “Fit for 55” della Commissione. In particolare, il Fondo monetario internazionale (FMI) stima che l’introduzione di un prezzo del carbonio di 50 dollari per tonnellata di CO2 in aggiunta agli schemi di prezzo dell’energia/carbonio esistenti potrebbe generare entrate fiscali extra pari a circa l’1% del Pil nel 2030 per i Paesi ad alta intensità di emissioni e circa lo 0,5 % negli Stati membri dell’UE come Francia, Germania e Italia.
Equilibrismi di gettito
L’obiettivo principale di qualsiasi politica di prezzo del carbonio è ridurre le emissioni di carbonio, il che implica che, se efficace, il consumo di combustibili fossili si ridurrà nel tempo. Ma ciò a sua volta significa anche che le entrate derivanti dalle tasse sull’energia tradizionale diminuiranno a causa dell’erosione della base imponibile poiché le politiche funzionano in modo efficace e quindi si tende ad abbandonare petrolio, carbone, gas ecc. È quindi l’effetto netto complessivo della decarbonizzazione per effetto delle tasse ambientali che è rilevante per qualsiasi analisi futura d’impatto. Il report evidenzia che i paesi precursori nella tassazione ambientale, Danimarca, Norvegia e Svezia, hanno visto un calo della quota delle entrate fiscali ambientali sul gettito fiscale totale dall’inizio degli anni 2000. Dagli anni ’90, questi paesi hanno implementato il maggior numero di tasse ambientali, comprese le tasse sulla CO2, e in modo significativo hanno indicizzato le loro aliquote fiscali in linea con l’inflazione. Certamente, questa è la conclusione, il futuro vedrà una diminuzione delle entrate dalle tasse sull’energia (imposta sul carburante), accise sui veicoli, tasse sui passeggeri aerei e tasse sulle discariche e sulla plastica a causa della decarbonizzazione dell’economia. Le tendenze passate dovrebbero quindi essere prese in considerazione quando si analizzano le opzioni politiche per i programmi di trasferimento delle tasse fino al 2050, in particolare per la seconda metà di questo periodo di 30 anni.
fonte fiscooggi.it